Paragrafo 66
Atque huic arti finitima est dicendi gravior facultas
et gratior et ornatior. Quid enim eloquentia praestabilius vel admiratione audientium vel spe indigentium vel eorum qui defensi
sunt gratia? Huic quoque ergo a maioribus nostris est in toga dignitatis principatus datus. Diserti igitur hominis et facile
laborantis quodque in patriis est moribus multorum causas et non gravate et gratuito defendentis beneficia et patrocinia late
patent.
Paragrafo 67
Admonebat me res ut hoc quoque loco intermissionem eloquentiae ne
dicam interitum deplorarem ni vererer ne de me ipso aliquid viderer queri. Sed tamen videmus quibus extinctis oratoribus quam
in paucis spes quanto in paucioribus facultas quam in multis sit audacia. Cum autem omnes non possint ne multi quidem aut iuris
periti esse aut diserti licet tamen opera prodesse multis beneficia petentem commendantem iudicibus magistratibus vigilantem
pro re alterius eos ipsos qui aut consuluntur aut defendunt rogantem; quod qui faciunt plurimum gratiae consequuntur
latissimeque eorum manat industria.
Paragrafo 68
Iam illud non sunt admonendi (est
enim in promptu) ut animadvertant cum iuvare alios velint ne quos offendant. Saepe enim aut eos laedunt quos non debent aut eos
quos non expedit; si imprudentes neglegentiae est si scientes temeritatis. Utendum etiam est excusatione adversus eos quos
invitus offendas quacumque possis quare id quod feceris necesse fuerit nec aliter facere potueris ceterisque operis et officiis
erit id quod violatum videbitur compensandum.
Paragrafo 69
Sed cum in hominibus
iuvandis aut mores spectari aut fortuna soleat dictu quidem est proclive itaque volgo loquuntur se in beneficiis collocandis
mores hominum non fortunam sequi. Honesta oratio est sed quis est tandem qui inopis et optimi viri causae anteponat in opera
danda gratiam fortunati et potentis? A quo enim expeditior et celerior remuneratio fore videtur in eum fere est voluntas nostra
propensior. Sed animadvertendum est diligentius quae natura rerum sit. Nimirum enim inops ille si bonus est vir etiam si
referre gratiam non potest habere certe potest. Commode autem quicumque dixit ‘pecuniam qui habeat non reddidisse qui
reddiderit non habere gratiam autem et qui rettulerit habere et qui habeat rettulisse’. At qui se locupletes honoratos beatos
putant ii ne obligari quidem beneficio volunt; qui etiam beneficium se dedisse arbitrantur cum ipsi quamvis magnum aliquod
acceperint atque etiam a se aut postulari aut exspectari aliquid suspicantur patrocinio vero se usos aut clientes appellari
mortis instar putant.
Paragrafo 70
At vero ille tenuis cum quidquid factum sit se
spectatum non fortunam putat non modo illi qui est meritus sed etiam illis a quibus exspectat (eget enim multis) gratum se
videri studet neque vero verbis auget suum munus si quo forte fungitur sed etiam extenuat. Videndumque illud est quod si
opulentum fortunatumque defenderis in uno illo aut si forte in liberis eius manet gratia; sin autem inopem probum tamen et
modestum omnes non improbi humiles quae magna in populo multitudo est praesidium sibi paratum vident.
Versione tradotta
A tale scienza è assai affine, ma più grave più gradita e più elegante, la capacità di
parlare. Infatti che cosa supera l'eloquenza o nell'ammirazione degli uditori o nella speranza che fa nascere nei bisognosi,
o nella gratitudine di coloro che sono stati difesi? Giustamente [anche], dunque, i nostri antenati assegnarono a questa
attività il primo posto in dignità tra le occupazioni civili. Ampie possibilità di beneficare e di difendere si aprono
all'uomo facondo, che facilmente si addossa la fatica e che, secondo il patrio costume, difende le cause di molti di buon
grado e gratuitamente.
L'occasione mi spingerebbe a deplorare in questo
passo l'interruzione, per non dire la morte, dell'eloquenza, ma temo che sembri che io mi lamenti di qualcosa che mi riguarda
di persona. Ma tuttavia possiamo osservare quali oratori siano ormai morti, come siano pochi quelli promettenti, ancor meno
quelli dotati delle capacità necessarie, e quanti, invece, posseggano solo la presunzione. Poiché non tutti possono - e neppure
molti - essere giuristi o oratori, è giusto, tuttavia, giovare a molti con la propria opera, chiedendo benefici raccomandandoli
ai giudici, ai magistrati, vigilando sui loro interessi, sollecitando quelli stessi che sono consultati o che difendono. Quanti
fanno ciò conseguono grandissima riconoscenza e la loro attività ha un campo
vastissimo.
Non si deve ammonire - ché la cosa è evidente - di star
attenti a non offendere alcuni, quando vogliono aiutare altri. Spesso danneggiano chi non devono o chi non conviene
danneggiare; se sono imprudenti, si tratta di trascuratezza, se sono consapevoli, allora si tratta di sconsideratezza. Ci si
deve scusare presso le persone offese senza volerlo, in qualsiasi modo è possibile, dicendo loro che si è stati costretti a
compiere ciò che si è fatto e non si sarebbe potuto agire in modo diverso; e con ogni altro aiuto e servigio bisognerà
ricompensare queltorto, che sembrerà essersi commesso.
Ma poiché
nell'aiutare gli uomini si soliti guardare o ai costumi o alla fortuna, facile a dirsi - e così si dice generalmente che nel
collocare un beneficio si consideran o i costumi degli uomini, non la loro fortuna. E' un parlare onesto; ma chi è, in fin dei
conti, che non anteponga, nel dare il suo aiuto, alla causa di un uomo eccellente ma povero la gratitudine di un uomo fortunato
e potente? Verso colui dal quale, a parer nostro, ci potrà derivare una più pronta e rapida ricompensa, la nostra volontà è, in
genere, più propensa. Ma si deve riflettere più attentamente sulla natura dei casi. Certamente quel povero, se è un uomo
onesto, anche se non può restituire il beneficio può, senza dubbio, avere gratitudine. Opportunamente disse, chiunque sia
stato:
"Chi ha denaro non l'ha restituito, colui che l'ha restituito non l'ha più; invece la gratitudine, chi l'ha
contraccambiata la prova e chi la prova l'ha contraccambiata ".
Invece coloro che si ritengono ricchi, onorati, felici non
vogliono neppure sentirsi obbligati da un beneficio; che anzi pensano di a ver dato un beneficio, pur avendone essi stessi
ricevuto uno grandissimo. E anche sospettano che si chieda loro o da loro si attenda qualche cosa e giudicano alla stessa
stregua della morte l'esser ricorsi ad un patrocinio o l'essere chiamati col nome di clienti.
Ma quel povero, qualunque beneficio gli sia stato fatto, ritiene che
si sia considerata la sua persona, non la sua fortuna, e si sforza di sembrare riconoscente non solo verso colui che l'ha
beneficato, ma anche verso quelli da cui s'attende benefici - che ha bisogno di molti -, e non accresce a parole la sua opera,
se per caso ne compie qualcuna, ma anzi la sminuisce. Bisogna considerare anche questo, che se tu hai difeso un uomo ricco e
fortunato, la riconoscenza resta in lui solo o. al massimo, nei suoi figli; se, invece, hai difeso una persona povera ma
tuttavia onesta e modesta, tutti gli uomini non disonesti, e ve ne sono molti fra il popolo, vedono in te una difesa preparata
per loro.
- Letteratura Latina
- De Officiis di Cicerone
- Cicerone