Paragrafo 81
At vero Aratus Sicyonius iure
laudatur qui cum eius civitas quinquaginta annos a tyrannis teneretur profectus Argis Sicyonem clandestino introitu urbe est
potitus cumque tyrannum Nicoclem inproviso oppressisset sescentos exules qui locupletissimi fuerant eius civitatis restituit
remque publicam adventu suo liberavit. Sed cum magnam animadverteret in bonis et possessionibus difficultatem quod et eos quos
ipse restituerat quorum bona alii possederant egere iniquissimum esse arbitrabatur et quinquaginta annorum possessiones movere
non nimis aequum putabat propterea quod tam longo spatio multa hereditatibus multa emptionibus multa dotibus tenebantur sine
iniuria iudicavit neque illis adimi nec iis non satis fieri quorum illa fuerant
oportere.
Paragrafo 82
Cum igitur statuisset opus esse ad eam rem constituendam
pecunia Alexandream se proficisci velle dixit remque integram ad reditum suum iussit esse isque celeriter ad Ptolomaeum suum
hospitem venit qui tum regnabat alter post Alexandream conditam. Cui cum euisset patriam se liberare velle causamque docuisset
a rege opulento vir summus facile impetravit ut grandi pecunia adiuvaretur. Quam cum Sicyonem attulisset adhibuit sibi in
consilium quindecim principes cum quibus causas cognovit et eorum qui aliena tenebant et eorum qui sua amiserant perfecitque
aestumandis possessionibus ut persuaderet aliis ut pecuniam accipere mallent possessionibus cederent aliis ut commodius
putarent numerari sibi quod tanti esset quam suum recuperare. Ita perfectum est ut omnes concordia constituta sine querella
discederent.
Paragrafo 83
O virum magnum dignumque qui in re publica nostra natus
esset! Sic par est agere cum civibus non ut bis iam vidimus hastam in foro ponere et bona civium voci subicere praeconis. At
ille Graecus id quod fuit sapientis et praestantis viri omnibus consulendum putavit eaque est summa ratio et sapientia boni
civis commoda civium non divellere atque omnis aequitate eadem continere. Habitent gratis in alieno. Quid ita? ut cum ego
emerim aedificarim tuear impendam tu me invito fruare meo? Quid est aliud aliis sua eripere aliis dare aliena?
Paragrafo 84
Tabulae vero novae quid habent argumenti nisi ut emas mea pecunia fundum
eum tu habeas ego non habeam pecuniam? Quam ob rem ne sit aes alienum quod rei publicae noceat providendum est quod multis
rationibus caveri potest non si fuerit ut locupletes suum perdant debitores lucrentur alienum. Nec enim ulla res vehementius
rem publicam continet quam fides quae esse nulla potest nisi erit necessaria solutio rerum creditarum. Numquam vehementius
actum est quam me consule ne solveretur. Armis et castris temptata res est ab omni genere hominum et ordine; quibus ita restiti
ut hoc totum malum de re publica tolleretur. Numquam nec maius aes alienum fuit nec melius nec facilius dissolutum est;
fraudandi enim spe sublata solvendi necessitas consecuta est. At vero hic nunc victor tum quidem victus quae cogitarat cum
ipsius intererat tum ea perfecit cum eius iam nihil interesset. Tanta in eo peccandi libido fuit ut hoc ipsum eum delectaret
peccare etiam si causa non esset.
Paragrafo 85
Ab hoc igitur genere largitionis ut
aliis detur aliis auferatur aberunt ii qui rem publicam tuebuntur inprimisque operam dabunt ut iuris et iudiciorum aequitate
suum quisque teneat et neque tenuiores propter humilitatem circumveniantur neque locupletibus ad sua vel tenenda vel
recuperanda obsit invidia praeterea quibuscumque rebus vel belli vel domi poterunt rem publicam augeant imperio agris
vectigalibus. Haec magnorum hominum sunt haec apud maiores nostros factitata haec genera officiorum qui persecuntur cum summa
utilitate rei publicae magnam ipsi adipiscentur et gratiam et gloriam.
Versione tradotta
Si loda a
buon diritto Arato di Sicione, il quale, poiché la sua città era soggetta alla tirannide da cinquanta anni, partì da Argo e,
introdottosi clandestinamente in Sicione, s'impadronì della città, e avendo ucciso il tiranno Nicocle con un colpo di mano
improvviso, richiamò i seicento esuli, che erano stati gli uomini più ricchi della sua città, e ridiede la libertà alla sua
patria col suo intervento. Ma considerando che nel possesso dei beni si riscontrava una grave difficoltà, perché riteneva assai
ingiusto che versassero in miseria quelli che egli stesso aveva richiamato - ed i cui beni erano posseduti da altri - e,
d'altra parte, non riteneva troppo giusto sovvertire i possessi di cinquant'anni (per il fatto che in un periodo di tempo
così lungo molti erano occupati con legittimo diritto per eredità o compere o doti), giudicò che non bisognava togliere i beni
a quelli, e che si doveva anche dare soddisfazione agli antichi proprietari.
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Avendo, dunque, stabilito che occorreva denaro per sistemare la faccenda, disse di voler partire per Alessandria, e
ordinò che la situazione rimanesse inalterata sino al suo ritorno. In gran fretta si recò da Tolomeo, che l'aveva ospitato, e
che era allora il secondo re dalla fondazione di Alessandria; avendogli esposto che voleva liberare la patria ed avendolo
informato del motivo, quell'uomo eccezionale ottenne facilmente dal ricco re che l'aiutasse con una grande somma di denaro.
Portatala a Sicione, chiamò a consiglio intorno a sé i primi quindici cittadini, coi quali esami no la situazione di coloro che
occupavano i possedimenti degli altri e di coloro che avevano perduto i propri, e dopo la stima dei possedimenti riuscì a
persuadere gli uni che erà preferibile accettare il denaro e cedere i possedimenti, e gli altri che ritenessero più vantaggioso
essere compensati con una somma ingente in contanti anziché recuperare la proprietà. Ne conseguì che, ristabilita la concordia,
tutti si allontanarono senza lamentarsi.
0 uomo grande e degno di esser
nato nel nostro Stato! Questo è il modo equo di agire coi cittadini, non, come abbiamo già visto per due volte, piantare
l'asta nel foro e mettere all'incanto i beni dei cittadini. Ma quel Greco ritenne che si dovesse provvedere a tutti, e questa
fu una decisione degna di un uomo saggio e superiore; in questo consiste la massima avvedutezza e saggezza di un buon
cittadino, nel non eliminare i vantaggi dei cittadini e nel trattare tutti con la stessa equità. Abitino gratis nella proprietà
altrui. E perche questo? Dopo che - io ho comprato, edificato, curato e speso, tu godrai del mio senza che io lo voglia? Che
altro è se non strappare agli uni i propri averi e dare agli altri quelli altrui?
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Queste nuove tavole che altra funzione hanno se non che tu possa comprare un podere con i miei soldi, che tu te lo
tenga ed io non abbia denaro? Perciò bisogna stare attenti a non far debiti che possano nuocere allo Stato; questo rischio può
essere evitato in molti modi, e non già col lasciare che i ricchi perdano le loro sostanze ed i debitori si arricchiscano col
denaro altrui. E invero nessuna cosa tiene più saldo lo Stato che la fiducia, la quale non può sussistere se non sarà
necessario il pagamento dei debiti. Mai con maggior decisione si cercò di non pagarli, come sotto il mio consolato; si fece
ogni tentativo con le armi e con gli eserciti, da parte di uomini di ogni genere e di ogni classe, ai quali io ho resistito si
da eliminare tutto il male dello Stato. Non ci fu mai un debito maggiore e non fu mai pagato meglio e più facilmente; tolta la
speranza di frodare, ne consegui la necessità di frodare. Ma costui poi vincitore, allora, invero, vinto, fini per realizzare i
suoi piani quando non gli interessavano più per nulla: tanto grande fu in lui il desiderio di peccare, che lo dilettava il
peccare in se stesso, anche se non ve n'era motivo.
Dunque da
questo genere di elargizioni, tale che agli uni si dà e si toglie agli altri, si dovranno astenere coloro che custodiranno lo
Stato, e per prima cosa si impegneranno a che ciascuno abbia il suo, in base alla giustizia del diritto e dei tribunali, e che
i più deboli non siano sopraffatti a causa della loro umile condizione e che l'invidia non frapponga ostacoli ai ricchi nel
conservare i propri averi o nel recuperarli; inoltre con tutti i mezzi possibili in guerra e in pace ingrandiscano lo Stato in
potere militare, in territorio ed in entrate. Queste sono azioni di uomini grandi, questi sono i fatti consueti presso i nostri
antenati; coloro che perseguono questi generi di doveri, insieme ad una grandissima autorità per lo Stato conseguiranno la
gratitudine di tutti e la gloria.
- Letteratura Latina
- De Officiis di Cicerone
- Cicerone