Paragrafo 11
Quo malo perterriti subito
oppidani saxa quam maxima possunt vectibus promovent praecipitataque muro in musculum devolvunt. Ictum firmitas materiae
sustinet et quicquid incidit fastigio musculi elabitur. Id ubi vident mutant consilium: cupas taeda ac pice refertas incendunt
easque de muro in musculum devolvunt. Involutae labuntur delapsae ab lateribus longuriis furcisque ab opere removentur. Interim
sub musculo milites vectibus infima saxa turris hostium quibus fundamenta continebantur convellunt. Musculus ex turri latericia
a nostris telis tormentisque defenditur; hostes ex muro ac turibus submoventur: non datur libera muri defendendi facultas.
Compluribus iam lapidibus ex ea quae suberat turri subductis repentina ruina pars eius turris concidit pars reliqua consequens
procumbebat: cum hostes urbis direptione perterriti inermes cum infulis se porta foras universi proripiunt ad legatos atque
exercitum supplices manus tendunt.
Paragrafo 12
Qua nova re oblata omnis administratio
belli consistit militesque aversi a proelio ad studium audiendi et cognoscendi feruntur. Ubi hostes ad legatos exercitumque
pervenerunt universi se ad pedes proiciunt; orant ut adventus Caesaris exspectetur: captam suam urbem videre: opera perfecta
turrim subrutam; itaque ab defensione desistere. Nullam exoriri moram posse quominus cum venisset si imperata non facerent ad
nutum e vestigio diriperentur. Docent si omnino turris concidisset non posse milites contineri quin spe praedae in urbem
irrumperent urbemque delerent. Haec atque eiusdem generis complura ut ab hominibus doctis magna cum misericordia fletuque
pronuntiantur.
Paragrafo 13
Quibus rebus commoti legati milites ex opere deducunt
oppugnatione desistunt; operibus custodias relinquunt. Indutiarum quodam genere misericordia facto adventus Caesaris
exspectatur. Nullum ex muro nullum a nostris mittitur telum; ut re confecta omnes curam et diligentiam remittunt. Caesar enim
per litteras Trebonio magnopere mandaverat ne per vim oppidum expugnari pateretur ne gravius permoti milites et defectionis
odio et contemptione sui et diutino labore omnes puberes interficerent; quod se facturos minabantur aegreque tunc sunt retenti
quin oppidum irrumperent graviterque eam rem tulerunt quod stetisse per Trebonium quominus oppido potirentur videbatur.
Paragrafo 14
Quibus rebus commoti legati milites ex opere deducunt oppugnatione
desistunt; operibus custodias relinquunt. Indutiarum quodam genere misericordia facto adventus Caesaris exspectatur. Nullum ex
muro nullum a nostris mittitur telum; ut re confecta omnes curam et diligentiam remittunt. Caesar enim per litteras Trebonio
magnopere mandaverat ne per vim oppidum expugnari pateretur ne gravius permoti milites et defectionis odio et contemptione sui
et diutino labore omnes puberes interficerent; quod se facturos minabantur aegreque tunc sunt retenti quin oppidum irrumperent
graviterque eam rem tulerunt quod stetisse per Trebonium quominus oppido potirentur videbatur.
Paragrafo 15
Trebonius ea quae sunt amissa multo majore militum studio administrare et
reficere instituit. Nam ubi tantos suos labores et apparatus male cecidisse viderunt indutiisque per scelus violatis suam
virtutem irrisui fore perdoluerunt quod unde agger omnino comportari posset nihil erat reliquum omnibus arboribus longe lateque
in finibus Massiliensium excisis et convectis aggerem novi generis atque inauditum ex latericiis duobus muris senum pedum
crassitudine atque eorum murorum contignatione facere instituerunt aequa fere altitudine atque ille congesticius ex materia
fuerat agger. Ubi aut spatium inter muros aut imbecillitas materiae postulare videretur pilae interponuntur traversaria tigna
iniciuntur quae firmamento esse possint et quicquid est contignatum cratibus consternitur crates luto integuntur. Sub tecto
miles dextra ac sinistra muro tectus adversus plutei obiectu operi quaecumque sunt usui sine periculo supportat. Celeriter res
administratur; diuturni laboris detrimentum sollertia et virtute militum brevi reconciliatur. Portae quibus locis videtur
eruptionis causa in muro relinquuntur.
Versione tradotta
Atterriti da questo pericolo, subito gli assediati spingono con delle leve massi quanto
più grossi possibile e, fattili precipitare dal muro, li gettano verso la galleria. La solidità del materiale sostiene il
colpo, e ogni cosa che cada scorre lungo gli spioventi del tetto. Quando vedono ciò, cambiano piano; incendiano barili pieni di
pece e resina e li gettano dal muro sulla galleria. I barili precipitano; caduti a terra ai fianchi, vengono rimossi dalla
galleria con forche e pertiche. Nel frattempo sotto la galleria i soldati con leve scalzano i più piccoli sassi della torre dei
nemici, che ne costituivano le fondamenta. La galleria viene difesa dai nostri dalla torre di mattoni con frecce e proiettili;
i nemici si ritirano dalle mura e dalle torri; non è più concessa la libera possibilità di difendere il muro. Rimosse già
svariate pietre da quella, che era vicina, alla torre, all'improvviso una parte di quella torre crolla, la rimanente parte di
conseguenza barcollava: quando i nemici, atterriti per il saccheggio della città, inermi si precipitano tutti fuori dalla porta
con le sacre bende, tendono supplichevolmente le mani ai luogotenenti e
all'esercito.
Presentatasi questa inusuale situazione cessa ogni
operazione di guerra e i soldati desistono dal combattimento, sono portati dalla voglia di ascoltare e sapere. Quando i nemici
giunsero presso i luogotenenti e l'esercito, si gettano tutti ai loro piedi; pregano che si attenda l'arrivo di Cesare: essi
vedono la loro città presa; le opere d'assedio completate, la torre abbattuta e così desistono dalla difesa. Se essi, quando
giungerà Cesare, non eseguiranno i suoi ordini, non potrà nascere alcun motivo perché non fosse distrutta subito, a un suo
cenno. Spiegano che, se la torre fosse crollata completamente, non si potrà impedire ai soldati, con la speranza della preda,
di irrompere nella città, e distruggerla. Queste e molte svariate cose dello stesso genere vengono esposte da uomini colti con
grande misericordia e senso di pietà.
I luogotenenti commossi per
queste cose ritirano i soldati dalle opere d'assedio, desistono dall'assedio; lasciano posti di guardia innanzi ai lavori.
Raggiunta per un sentimento di misericordia una sorta di tregua, si attende l'arrivo di Cesare. I nostri non scagliano nessun
dardo, nessuna cosa dalle mura; come se la cosa fosse terminata, tutti attenuano l'attenzione e la diligenza. Cesare infatti
aveva attraverso delle lettere vivamente raccomandato a Trebonio, che non si lasci che la città sia espugnata con la forza
affinché i soldati, scossi più profondamente sia dall'odio del tradimento sia dal disprezzo verso di loro e dalla continua
fatica, non uccidessero tutti gli adulti; e cosa che minacciavano di fare, e furono allora trattenuti con difficoltà dall
irrompere nella città, e mal volentieri sopportarono quella cosa poiché sembrava che il risparmiare la città dipendesse da
Trebonio.
Ma i nemici cercarono proditoriamente il momento e
l'occasione adatti per la frode e l'inganno e, lasciato passare qualche giorno, mentre i nostri erano rilassati e tranquilli,
all'improvviso, verso mezzogiorno, quando alcuni si erano allontanati e altri si stavano riposando dalla quotidiana fatica sul
luogo stesso dei lavori, e tutte le armi erano riposte e al coperto, fanno irruzione dalle porte e, favoriti da un forte vento,
appiccano il fuoco alle opere d'assedio. Il vento propaga a tal punto le fiamme che in un momento terrapieno, gallerie,
testuggine, torre, macchine da guerra s'incendiano e bruciano completamente prima che si possa capire come sia accaduto. I
nostri, colpiti dall'improvviso rovescio di fortuna, afferrano le armi che possono, altri si precipitano fuori
dall'accampamento. Si va all'assalto del nemico. Ma le frecce e i proiettili lanciati dalle mura impediscono di inseguire i
fuggitivi. Questi si pongono al riparo delle mura e di là incendiano senza trovare resistenza la galleria e la torre di
mattoni. In un attimo, il lavoro di tanti mesi viene distrutto dalla perfidia dei nemici e dalla violenza del vento. Il giorno
dopo i Marsigliesi tentarono di ripetere il colpo. Approfittando dello stesso vento, con maggiore sicurezza attaccano facendo
irruzione dalla parte dell'altra torre e dell'altro terrapieno, appiccando il fuoco in parecchi punti. Ma i nostri, come
prima avevano completamente abbandonato la sorveglianza, così ora, messi in guardia dal colpo subìto il giorno precedente,
erano prontissimi a difendersi. Quindi, dopo aver inflitto molte perdite al nemico, respinsero i superstiti nella piazzaforte,
senza che avessero recato alcun danno.
Trebonio cominciò a
organizzare la ricostruzione di ciò che era stato distrutto con un entusiasmo dei soldati molto maggiore. Infatti quando videro
che con la distruzione delle opere belliche tante loro fatiche erano andate perdute, provando profondo dolore poiché, violata
la tregua con l'inganno, erano stati scherniti nel loro valore, dal momento che non rimaneva materiale per costruire di nuovo
una trincea giacché, per lungo e per largo nel territorio di Marsiglia, tutti gli alberi erano stati tagliati e portati via,
decisero di costruire un terrapieno di nuovo tipo, mai visto prima, con due mura di mattoni di sei piedi di spessore, uniti da
un tavolato, quasi della stessa larghezza di quello che era stato costruito con il legname trasportato. Laddove l'intervallo
tra i muri o la debolezza del legname sembrano richiederlo, si interpongono dei pilastri, si pongono di traverso travi che
possano essere di sostegno e si copre di graticci tutta la travatura, i graticci vengono cosparsi di fango. Al riparo i
soldati, protetti a destra e sinistra dal muro e di fronte da una protezione di tavole, portano senza pericolo qualunque
materiale serva per la costruzione. Il lavoro viene condotto velocemente; la perdita di un lavoro costato lungo tempo viene in
poco tempo sanata dalla velocità e dal valore dei soldati. Vengono lasciate nel muro, là dove pareva opportuno, delle porte per
potere fare delle sortite.
- De Bello Civili
- De Bello Civili di Giulio Cesare
- Cesare