De Bello Civili, Libro 2 - Paragrafi da 36 a 40 - Studentville

De Bello Civili, Libro 2 - Paragrafi da 36 a 40

Paragrafo

36
Postero die Curio obsidere Uticam et vallo circummunire instituit. Erat in oppido multitudo insolens belli

diuturnitate otii Uticenses pro quibusdam Caesaris in se beneficiis illi amicissimi conventus is qui ex variis generibus

constaret terror ex superioribus proeliis magnus. Itaque de deditione omnes palam loquebantur et cum P. Attio agebant ne sua

pertinacia omnium fortunas perturbari vellet. Haec cum agerentur nuntii praemissi ab rege Iuba venerunt qui ilium adesse cum

magnis copiis dicerent et de custodia ac defensione urbis hortarentur. Quae res eorum perterritos animos

confirmavit.

Paragrafo 37
Nuntiabantur haec eadem Curioni sed aliquamdiu fides fieri

non poterat: tantam habebat suarum rerum fiduciam. Iamque Caesaris in Hispania res secundae in Africam nuntiis ac litteris

perferebantur. Quibus omnibus rebus sublatus nihil contra se regem nisurum existimabat. Sed ubi certis auctoribus comperit

minus V et XX milibus longe ab Utica eius copias abesse relictis munitionibus sese in castra Cornelia recepit. Huc frumentum

comportare castra munire materiam conferre coepit statimque in Siciliam misit uti duae legiones reliquusque equitatus ad se

mitteretur. Castra erant ad bellum ducendum aptissima natura loci et munitione et maris propinquitate et aquae et salis copia

cuius magna vis iam ex proximis erat salinis eo congesta. Non materia multitudine arborum non frumentum cuius erant plenissimi

agri deficere poterat. Itaque omnium suorum consensu Curio reliquas copias exspectare et bellum ducere

parabat.

Paragrafo 38
His constitutis rebus probatisque consiliis ex perfugis

quibusdam oppidanis audit Iubam revocatum finitimo bello et controversiis Leptitanorum restitisse in regno Saburram eius

praefectum cum mediocribus copiis missum Uticae appropinquare. His auctoribus temere credens consilium commutat et proelio rem

committere constituit. Multum ad hanc rem probandam adiuvat adulescentia magnitudo animi superioris temporis proventus fiducia

rei bene gerendae. His rebus impulsus equitatum omnem prima nocte ad castra hostium mittit ad flumen Bagradam quibus praeerat

Saburra de quo ante erat auditum; sed rex omnibus copiis insequebatur et sex milium passuum intervallo a Saburra consederat.

Equites missi nocte iter conficiunt imprudentes atque inopinantes hostes aggrediuntur. Numidae enim quadam barbara consuetudine

nullis ordinibus passim consederant. Hos oppressos somno et dispersos adorti magnum eorum numerum interficiunt; multi

perterriti profugiunt. Quo facto ad Curionem equites revertuntur captivosque ad eum

reducunt.

Paragrafo 39
Curio cum omnibus copiis quarta vigilia exierat cohortibus V

castris praesidio relictis. Progressus milia passuum VI equites convenit rem gestam cognovit; e captivis quaerit quis castris

ad Bagradam praesit: respondent Saburram. Reliqua studio itineris conficiendi quaerere praetermittit proximaque respiciens

signa “videtisne” inquit “milites captivorum orationem cum perfugis convenire? abesse regem exiguas esse copias missas quae

paucis equitibus pares esse non potuerint? Proinde ad praedam ad gloriam properate ut iam de praemiis vestris et de referenda

gratia cogitare incipiamus.” Erant per se magna quae gesserant equites praesertim cum eorum exiguus numerus cum tanta

multitudine Numidarum confertur. Haec tamen ab ipsis inflatius commemorabantur ut de suis homines laudibus libenter praedicant.

Multa praeterea spolia praeferebantur capti homines equique producebantur ut quicquid intercederet temporis hoc omne victoriam

morari videretur. Ita spei Curionis militum studia non deerant. Equites sequi iubet sese iterque accelerat ut quam maxime ex

fuga perterritos adoriri posset. At illi itinere totius noctis confecti subsequi non poterant atque alii alio loco resistebant.

Ne haec quidem Curionem ad spem morabantur.

Paragrafo 40
Iuba certior factus a

Saburra de nocturno proelio II milia Hispanorum et Gallorum equitum quos suae custodiae causa circum se habere consuerat et

peditum eam partem cui maxime confidebat Saburrae submisit; ipse cum reliquis copiis elephantisque LX lentius subsequitur.

Suspicatus praemissis equitibus ipsum affore Curionem Saburra copias equitum peditumque instruit atque his imperat ut

simulatione timoris paulatim cedant ac pedem referant: sese cum opus esset signum proelii daturum et quod rem postulare

cognovisset imperaturum. Curio ad superiorem spem addita praesentis temporis opinione hostes fugere arbitratus copias ex locis

superioribus in campum deducit.

Versione tradotta

Paragrafo 36
Il giorno dopo Curione inizia ad assediare Utica e a far costruire un vallo. Vi

era nella città una plebe che, per aver goduto un lungo periodo di pace, era poco incline alla guerra; gli Uticensi, per alcuni

benefici ricevuti da Cesare, gli erano molto favorevoli; l'associazione dei cittadini romani era di varia estrazione e

l'esito delle precedenti battaglie aveva causato la più grande apprensione. Quindi, già tutti parlavano apertamente di resa e

trattavano con Publio Attio, perché non mettesse in pericolo la sorte di tutti con la sua ostinazione. Mentre si svolgevano

queste trattative, giunsero ambasciatori inviati dal re Giuba per annunciare che egli era in arrivo con grandi forze, ed

esortarli a sorvegliare e difendere la città. La notizia rinfrancò i loro animi

atterriti.

Paragrafo 37
Le stesse notizie arrivarono a Curione, ma per un certo

periodo non riuscì a prestarvi fede, tanto era fiducioso della propria posizione. Già i successi di Cesare in Spagna venivano

divulgati in Africa tramite lettere e messaggeri. Esaltato da tutte queste notizie, riteneva che il re non avrebbe tentato

nulla contro di lui. Ma appena seppe da fonti sicure che le sue truppe distavano da Utica meno di venticinque miglia,

abbandonate le opere d'assedio, si ritirò a Campo Cornelio. Qui si diede a far provvista di frumento, a fortificare il campo,

a far trasportare legname da costruzione; mandò immediatamente ordini in Sicilia, perché gli inviassero le altre due legioni e

il resto della cavalleria. Il campo era adattissimo per una guerra prolungata per conformazione naturale e fortificazioni, per

la vicinanza del mare e l'abbondanza di acqua e di sale, di cui era già stata lì accumulata una gran quantità, proveniente

dalle vicine saline. Non poteva mancare né legname, data la grande abbondanza di alberi, né frumento, di cui erano coperti i

campi. Quindi, con il pieno consenso dei suoi, Curione si preparava ad aspettare il resto delle truppe e a tirare in lungo la

guerra.

Paragrafo 38
Definito ciò e approvati questi piani, Curione viene a sapere

da alcuni disertori della città che Giuba, richiamato da una guerra con un popolo vicino e da controversie con gli abitanti di

Leptis, si era fermato nel suo regno e che il suo prefetto Saburra, che era stato mandato con poche truppe, era vicino a Utica.

Credendo sconsideratamente a queste fonti, muta piano e stabilisce di risolvere la questione con il combattimento. Molto

contribuiscono a questa decisione la giovinezza, il grande coraggio, i successi del passato, la speranza di condurre a buon

fine l'impresa. Mosso da ciò, sul fare della notte manda tutta la cavalleria verso l'accampamento dei nemici nei pressi del

fiume Bagrada; di tale campo era capo Saburra, di cui prima si era detto; ma il re con tutte le milizie gli teneva dietro e si

era fermato a una distanza di sei miglia da Saburra. I cavalieri, inviati da Curione, compiono di notte il cammino e assaltano

i nemici che, impreparati, non se lo aspettavano. I Numidi, secondo un'abitudine dei barbari, si erano sdraiati qua e là senza

alcun ordine. Assalitili mentre erano immersi nel sonno e sparpagliati, ne uccidono un gran numero; molti fuggono in preda al

terrore. Compiuta questa azione i cavalieri fanno ritorno da Curione e gli conducono i prigionieri.

Paragrafo 39
Curione era uscito con tutte le truppe alla quarta vigilia dopo aver

lasciato cinque coorti a presidiare l'accampamento Dopo sei miglia di marcia incontra la cavalleria e apprende quanto era

stato fatto; chiede ai prigionieri chi ha il comando del campo presso il Bagrada; gli rispondono che il comandante è Saburra.

Nella fretta di proseguire la marcia, non fa altre domande e, rivolto ai manipoli più vicini: «Non vedete», dice, «soldati,

come le parole dei prigionieri concordano con quelle dei disertori? Il re è lontano, le truppe da lui inviate sono poche, tanto

che non hanno potuto resistere a un drappello di cavalleria. Affrettatevi quindi alla preda e alla gloria, perché possiamo

ormai cominciare a pen­sare alla vostra ricompensa e al modo di dimostrarvi la nostra gratitudine». L'impresa compiuta dalla

cavalleria era stata certo notevole, specialmente se si confronta il loro esiguo numero con l'enorme massa dei Numidi, ma pure

veniva gonfiata nei loro racconti, perché gli uomini amano esaltare i propri meriti. Si esibiva l'abbondante bottino, si

mostravano i fanti e i cavalieri fatti prigionieri, al punto che ogni più piccolo intervallo di tempo sembrava ritardare la

vittoria. Alle aspettative di Curione corrispondeva l'ardore dei soldati. Ordina alla cavalleria di seguirlo e accelera la

marcia per poter assalire il nemico ancora in piena fuga ed atterrito. Ma i cavalieri, sfiniti da un'intera notte di marcia,

non potevano tenergli dietro e si fermavano chi in un luogo chi in un altro. Ma nemmeno questo rallentava lo slancio di

Curione.

Paragrafo 40
Giuba, informato da Saburra dello scontro notturno, gli

manda in aiuto duemila cavalieri spagnoli e galli che era solito tenere con sé a guardia della propria persona, e quella parte

di fanti in cui aveva più fiducia. Egli stesso con le rimanenti milizie e sessanta elefanti tiene dietro con passo più lento.

Saburra, sospettando che si avvicinasse lo stesso Curione poiché era stata mandata avanti la cavalleria, schiera fanti e

cavalieri e ordina loro di indietreggiare a poco a poco e ritirarsi fingendo paura; egli, quando fosse necessario, avrebbe dato

il segnale di combattimento, ordinando ciò che avesse compreso che la situazione richiedeva. Curione fa scendere le milizie

dalle alture alla pianura; infatti nel suo animo, poiché egli credeva che i nemici fossero in fuga, l'impressione

dell'attuale circostanza si aggiungeva alla precedente speranza.

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