De Legibus, Libro 2, Paragrafo 11 - Studentville

De Legibus, Libro 2, Paragrafo 11

Quintus: Adsentior frater ut quod est rectum verumque sit neque cum litteris quibus scita scribuntur aut oriatur aut occidat.
Marcus: Ergo ut illa divina mens summa lex est item quom in homine est perfecta in mente sapientis. Quae sunt autem varie et ad tempus descriptae populis favore magis quam re legum nomen tenent. Omnem enim legem quae quidem recte lex appellari possit esse laudabilem quidam talibus argumentis docent. Constare profecto ad salutem civium civitatumque incolumitatem vitamque hominum quietam et beatam inventas esse leges eosque qui primum eiusmodi scita sanxerint populis ostendisse ea se scripturos atque laturos quibus illi adscitis susceptisque honeste beateque viverent quaeque ita conposita sanctaque essent eas leges videlicet nominarent. Ex quo intellegi par est eos qui perniciosa et iniusta populis iussa descripserint quom contra fecerint quam polliciti professique sint quidvis potius tulisse quam leges ut perspicuum esse possit in ipso nomine legis interpretando inesse vim et sententiam iusti et veri legendi.

Versione tradotta

Quinto: - Sono d'accordo, fratello, che quanto è giusto e vero debba essere [anche etemo], e non debba sorgere o perire con i segni, con cui si scrivono i decreti.

Marco: - Dunque, come quella mente divina è la legge suprema, allo stesso modo, quando è portata alla perfezione nell'uomo, [risiede] nella mente del saggio.Ma quelle che variamente e secondo l'occasione vengono sancite per i popoli, assumono il nome di leggi più per un privilegio che per la sostanza. Alcuni esperti insegnano infatti, con una serie di argomentazioni simili, che ogni legge che veramente si possa chiamare legge, è degna di lode. E' noto a tutti che le leggi furono elaborate per la salvezza dei cittadini e l'incolumità degli Stati, nonché per una vita tranquilla e felice dell'umanità; e quelli che per primi stabilirono norme del genere, dimostrarono ai popoli che essi avrebbero scritto e proposto norme che, se riconosciute ed accettate, avrebbero loro permesso di vivere rettamente e felicemente. Tutte le norme a tal fine composte e promulgate le chiamarono leggi. Dal che è facilmente comprensibile che, coloro i quali prescrissero ai loro popoli regolamenti dannosi ed ingiusti, e avendo fatto l'opposto di quanto avevano promesso e dichiarato, promulgarono qualunque cosa, ma non delle vere leggi, quindi è chiaro che nella stessa interpretazione del nome di legge è insita la sostanza ed il criterio della scelta del giusto e del vero.

  • Letteratura Latina
  • Libro 2
  • Cicerone
  • De Legibus

Ti potrebbe interessare

Link copiato negli appunti