Marcus: Igitur tu Titias et Apuleias leges nullas putas?
Quintus: Ego vero ne Livias quidem.
Marcus: Et recte quae praesertim uno versiculo senatus puncto temporis sublatae sint. Lex autem illa cuius vim explicavi neque tolli neque abrogari potest.
Quintus: Eas tu igitur leges rogabis videlicet quae numquam abrogentur.
Marcus: Certe si modo acceptae a duobus vobis erunt. Sed ut vir doctissimus fecit Plato atque idem gravissimus philosophorum omnium qui princeps de re publica conscripsit idemque separatim de legibus id mihi credo esse faciundum ut priusquam ipsam legem recitem de eius legis laude dicam. Quod idem et Zaleucum et Charondam fecisse video quom quidem illi non studii et delectationis sed rei publicae causa leges civitatibus suis scripserint. Quos imitatus Plato videlicet hoc quoque legis putavit esse persuadere aliquid non omnia vi ac minis cogere.
Versione tradotta
Marco: - Allora tu non consideri affatto leggi le Tizie e le Apuleie ?
Quinto: - Io francamente nemmeno le Livie.
Marco: - Ed hai ragione, dal momento che esse furono abrogate in un solo istante e con un'unico tratto di penna del senato. Invece quella legge, di cui ho spiegato l'efficacia, non può essere soppressa né abrogata.
Quinto: - Tu allora presenterai delle leggi tali, che non possano mai essere abrogate.
Marco: - Certamente, purché vengano accettate da voi due. Ma come ha fatto il sapientissimo Platone, peraltro il più autorevole di tutti i filosofi, il quale per primo scrisse su lo Stato, e poi, a parte, sulle sue Leggi, credo che anch' io dovrò fare la stessa cosa, cioè, prima enunciare la legge, quindi farne le lodi. E questo, a quel che vedo, è quanto hanno fatto anche Zaleuco e Caronda, pur avendo essi scritto le loro leggi per le città non già per esercizio scolastico o per passatempo, ma per il bene del loro Stato. E dietro il loro esempio, Platone certamente ritenne che anche questa fosse una caratteristica specifica della legge, di convincere di qualche cosa, e non imporre tutto costringendo con le minacce e con la forza.
- De Legibus
- Libro 2
- Cicerone
- De Legibus