De Legibus, Libro 2, Paragrafo 16 - Studentville

De Legibus, Libro 2, Paragrafo 16

His enim rebus inbutae mentes haud sane abhorrebunt ab utili aut a vera sententia. Quid est enim verius quam neminem esse oportere tam stulte adrogantem ut in se rationem et mentem putet inesse in caelo mundoque non putet? Aut ut ea quae vix summa ingenii ratione moveri putet? Quem vero astrorum ordines quem dierum noctiumque vicissitudines quem mensum temperatio quemque ea quae gignuntur nobis ad fruendum non gratum esse cogunt hunc hominem omnino numerari qui decet? Quomque omnia quae rationem habent praestent iis quae sint rationis expertia nefasque sit dicere ullam rem praestare naturae omnium rerum rationem inesse in ea confitendum est. Utilis esse autem has opiniones quis neget quom intellegat quam multa firmentur iure iurando quantae saluti sint foederum religiones quam multos divini supplicii metus a scelere revocarit quamque sancta sit societas civium inter ipsos diis inmortalibus interpositis tum iudicibus testibus? Habes legis prooemium; sic enim haec appellat Plato.

Versione tradotta

e se gli animi assorbiranno questi principii, è certo che non si allontaneranno mai da idee valide e veraci. Cosa vi è infatti di più vero del fatto che nessuno debba essere superbo in una forma tanto sciocca, da credere di avere dentro di sé intelletto e ragione, e negarlo nel cielo e nel mondo? O da pensare che [nessuna] mente governi il movimento di quegli oggetti che a mala pena [possono essere conosciuti da una mente] sia pure di grandissima capacità? Perché mai conviene includere tra gli uomini uno che non si senta costretto alla gratitudine dall'ordine degli astri, dall'altemarsi dei giorni e delle notti, dal variare della temperatura e da tutto ciò che nasce per il nostro vantaggio? In fondo, poiché tutto ciò che è fornito di ragione è superiore a ciò che è privo della ragione, e non è lecito affermare che una singola individualità sia superiore all'universale, si dovrebbe aver fiducia che esista in questa universale natura l'esistenza di una ragione. E chi negherebbe che queste idee siano valide, se ci rendiamo conto di quanti patti si rafforzano con un giuramento, quanto vantaggio apportino gli accordi solenni, quanti siano quelli allontanatisi dalla colpa per il timore della punizione divina, e quanto sia sacra l'unione dei cittadini, quando fra di loro si inseriscono gli stessi dèi immortali, talora come giudici, talora come testimoni? Ecco qui il fondamento della legge; così infatti lo definisce Platone.

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