Quod et nunc multis fit in fanis Alexander in Cilicia deposuisse apud Solensis in delubro pecuniam dicitur et Atheniensis Clisthenes civis egregius quom rebus timeret suis Iunoni Samiae filiarum dotis credidisse. Iam de periuriis de incesto nihil sane hoc quidem loco disputandum est. Donis impii ne placare audeant deos Platonem audiant qui vetat dubitare qua sit mente futurus deus quom vir nemo bonus ab inprobo se donari velit. Diligentiam votorum satis in lege dictum est * ac votis sponsio qua obligamur deo. Poena vero violatae religionis iustam recusationem non habet. Quid ego hic sceleratorum utar exemplis quorum plenae tragoediae? Quae ante oculos sunt ea potius adtingam. Etsi haec commemoratio vereor ne supra hominis fortunam esse videatur tamen quoniam sermo mihi est apud vos nihil reticebo volamque hoc quod loquar diis inmortalibus gratum potius videri quam grave.
Versione tradotta
E' un deposito che ancora oggi si fa in molti santuari. Si dice che una volta Alessandro depositò il suo tesoro in Cilicia in un tempio dei Solensi, e che l'ateniese Clistene, cittadino illustre, poiché temeva per i suoi beni, affidò la dote delle figlie al tempio di Giunone Samia. Ora non è affatto il caso di discutere degli spergiuri, né dell'incesto. Gli empi non abbiano il coraggio di placare gli dèi con doni, ascoltino piuttosto Platone, il quale proibisce tassativamente di nutrire dubbi circa l'atteggiamento del dio, dal momento che neppure uno, che sia onesto, vuol ricevere doni da un malvagio. E' sufficientemente detto nella legge circa la scrupolosità dei voti e la promessa da cui, per mezzo del voto, siamo vincolati verso la divinità. Ma la punizione per la profanazione di una cerimonia sacra non ammette eccezione legittima. A che scopo infatti dovrei citare qui esempi di empi, di cui sono piene le tragedie? Toccherò piuttosto quei fatti che stanno innanzi agli occhi di tutti. Pur temendo che il ricordare tali vicende possa sembrare cosa superiore alla condizione umana, tuttavia, parlando con voi, non tacerò nulla, e vorrei che quanto dico riuscisse gradito agli dèi immortali, piuttosto che offensivo.
- Letteratura Latina
- Libro 2
- Cicerone
- De Legibus