Quintus: Equidem ista agnosco frater et meritas dis gratias ago. Sed nimis saepe secus aliquanto videmus evadere.
Marcus: Non enim Quinte recte existimamus quae poena divina sit sed opinionibus vulgi rapimur in errorem nec vera cernimus. Morte aut dolore corporis aut luctu animi aut offensione iudicii hominum miserias ponderamus quae fateor humana esse et multis bonis viris accidisse. Sceleri est poena tristis et praeter eos eventus qui secuntur per se ipsa maxima est: vidimus eos qui nisi odissent patriam numquam inimici nobis fuissent ardentis tum cupiditate tum metu tum conscientia quid agerent modo timentis vicissim contemnentis religiones iudicia corrupta ab isdem hominum non deorum.
Versione tradotta
Quinto: - So tutto questo, fratello, e ne ringrazio gli dèi perché lo meritano; ma mi sembra che troppo spesso stiamo divagando un po'.
Marco: - Infatti non sappiamo valutare esattamente, Quinto, quale sia il castigo divino, ma dalle opinioni del popolino siamo indotti in errore e non vediamo il vero; noi misuriamo le miserie umane o in base alla morte o al dolore fisico o alla tristezza spirituale o all'onta di un processo; tutti fatti che ammetto essere inerenti alla natura umana e che sono accaduti a molti uomini dabbene. Ma la punizione di un delitto è triste, e, pur prescindendo dalle conseguenze, è già gravissima di per se stessa. Vediamo coloro, i quali mai avrei avuto come avversari se non avessero odiato la patria, ora bruciati da cupidigia, ora da timore, ora da rimorso, ora dubbiosi, qualunque cosa facciano, e d'altra parte sprezzanti della religione; i processi inquinati da costoro, per disonestà di uomini, non per volontà degli dèi.
- Letteratura Latina
- Libro 2
- Cicerone
- De Legibus