Atticus: Recte igitur Magnus ille noster me audiente posuit in iudicio quom pro Ampio tecum simul diceret rem publicam nostram iustissimas huic municipio gratias agere posse quod ex eo duo sui conservatores exstitissent ut iam videar adduci hanc quoque quae te procrearit esse patriam tuam. Sed ventum in insulam est. Hac vero nihil est amoenius. Etenim hoc quasi rostro finditur Fibrenus et divisus aequaliter in duas partes latera haec adluit rapideque dilapsus cito in unum confluit et tantum conplectitur quod satis sit modicae palaestrae loci. Quo effecto tamquam id habuerit operis ac muneris ut hanc nobis efficeret sedem ad disputandum statim praecipitat in Lirem et quasi in familiam patriciam venerit amittit nomen obscurius Liremque multo gelidiorem facit. Nec enim ullum hoc frigidius flumen attigi cum ad multa accesserim ut vix pede temptare id possim quod in Phaedro Platonis facit Socrates.
Versione tradotta
Attico: - Aveva ragione allora quel nostro Magno, quando affermò in tribunale, e lo sentii anch'io con le mie orecchie, mentre insieme a te difendeva Ampio, che il nostro Stato poteva essere assai riconoscente a questo municipio, perché da esso erano venuti fuori i suoi due salvatori, tanto che già mi sembra di essere convinto che anche questa che ti ha generato sia una tua patria. Ma siamo arrivati all'isola. Davvero nulla vi potrebbe essere di più ameno. Infatti il Fibreno è tagliato quasi come da un rostro e, diviso in due rami eguali, lambisce questi fianchi e scorrendo velocemente in un attimo confluisce in un unico braccio, abbracciando tanto di quel terreno che sarebbe sufficiente per una palestra di medie dimensioni. Subito dopo, come se questo fosse suo compito e dovere, di costruirci cioè un posto per la nostra discussione, si getta nel Liri, e, quasi come se fosse entrato in una famiglia patrizia, abbandona il suo nome piuttosto oscuro, e rende il Liri molto più fresco. Infatti io non ho mai toccato acqua più fresca di questa, pur avendone provate molte, al punto che a mala pena posso provarla col piede, come fa Socrate nel Fedro di Platone.
- Letteratura Latina
- Libro 2
- Cicerone
- De Legibus