La caduta di Troia: Eneide, Libro 2, vv. 1-56

Eneide, Libro 2, vv. 1-56 - La caduta di Troia

Nel secondo libro dell’Eneide, Virgilio ci conduce al cuore della tragica notte della caduta di Troia sotto l’inganno dei Greci.

I primi 56 versi narrano l’inganno del cavallo di legno, lasciato apparentemente come offerta agli dei e portato dentro le mura della città dagli ignari Troiani. Durante la notte, i guerrieri greci nascosti al suo interno escono e aprono le porte della città agli eserciti nemici. La scena è piena di drammaticità, caos e distruzione, mentre Troia viene invasa e incendiata.

Versione Tradotta dell’Eneide: Testo originale, Libro 2 1-56 – la caduta di Troia

Conticuere omnes intentique ora tenebant;

inde toro pater Aeneas sic orsus ab alto:
Infandum, regina, iubes renovare dolorem,
Troianas ut opes et lamentabile

regnum
eruerint Danai, quaeque ipse miserrima vidi
et quorum pars magna fui. quis talia fando
Myrmidonum Dolopumve

aut duri miles Ulixi
temperet a lacrimis? et iam nox umida caelo
praecipitat suadentque cadentia sidera somnos.
sed

si tantus amor casus cognoscere nostros
et breviter Troiae supremum audire laborem,
quamquam animus meminisse horret

luctuque refugit,
incipiam. fracti bello fatisque repulsi
ductores Danaum tot iam labentibus annis
instar montis

equum divina Palladis arte
aedificant, sectaque intexunt abiete costas;
votum pro reditu simulant; ea fama vagatur.

huc delecta virum sortiti corpora furtim
includunt caeco lateri penitusque cavernas
ingentis uterumque armato

milite complent.
est in conspectu Tenedos, notissima fama
insula, dives opum Priami dum regna manebant,
nunc tantum

sinus et statio male fida carinis:
huc se provecti deserto in litore condunt;
nos abiisse rati et vento petiisse

Mycenas.
ergo omnis longo solvit se Teucria luctu;
panduntur portae, iuvat ire et Dorica castra

desertosque videre locos litusque relictum:
hic Dolopum manus, hic saevus tendebat Achilles;
classibus hic locus,

hic acie certare solebant.
pars stupet innuptae donum exitiale Minervae
et molem mirantur equi; primusque Thymoetes

duci intra muros hortatur et arce locari,
sive dolo seu iam Troiae sic fata ferebant.
at Capys, et quorum melior

sententia menti,
aut pelago Danaum insidias suspectaque dona
praecipitare iubent subiectisque urere flammis,
aut

terebrare cavas uteri et temptare latebras.
scinditur incertum studia in contraria vulgus.
Primus ibi ante omnis magna

comitante caterva
Laocoon ardens summa decurrit ab arce,
et procul ‘o miseri, quae tanta insania, cives?

creditis avectos hostis? aut ulla putatis
dona carere dolis Danaum? sic notus Ulixes?
aut hoc inclusi ligno

occultantur Achivi,
aut haec in nostros fabricata est machina muros,
inspectura domos venturaque desuper urbi,
aut

aliquis latet error; equo ne credite, Teucri.
quidquid id est, timeo Danaos et dona ferentis.’
sic fatus validis

ingentem viribus hastam
in latus inque feri curvam compagibus alvum
contorsit. stetit illa tremens, uteroque

recusso
insonuere cavae gemitumque dedere cavernae.
et, si fata deum, si mens non laeva fuisset,
impulerat ferro

Argolicas foedare latebras,
Troiaque nunc staret, Priamique arx alta maneres.

 

Versione Tradotta dell’Eneide: Testo tradotto, Libro 2 1-56 – la caduta di Troia

Tacquero tutti

ed attenti tenevano i visi;
quindi il padre Enea così cominciò dall’alto letto:
Indicibile dolore, regina, inviti a

rinnovare,
come i Danai distrussero i beni troiani ed il regno
degno di pianto, e le cose tristissime che io vidi
e di

cui fui gran parte. Quale soldato dei Mirmidoni o dei Dolopi o del
crudele Ulisse raccontando tali cose
si tratterrebbe

dalle lacrime? E già la notte umida dal cielo
precipita e le stelle cadendo consigliano i sonni.
Ma se sì grande (è) l’

amore di conoscere i nostri casi
ed ascoltare brevemente la massima angoscia di Troia,
anche se il cuore inorridisce e

rifugge dal lutto,
inizierò. Stroncati dalla guerra e respinti dai fati
i capi dei Danai, scorrendo ormai tanti

anni,
innalzano un cavallo, come un monte con l’arte divina
di Pallade, e tagliato l’abete ne intrecciano i

fianchi;
simulano il voto per il ritorno; quella fama si sparge.
Qui furtivamente, estratti a sorte, chiudono scelti

corpi scelti
di eroi nel cieco fianco e riempiono interamente le enormi
caverne ed il ventre di presidio armato.
C’è

di fronte Tenedo, isola notissima per fama, ricca di beni,
finché duravano i regni di Priamo,
ora solo insenatura e

posto mal sicuro per le carene:
qui giunti si nascondono nel lido deserto;
pensando noi esser partiti e diretti col vento

a Micene.
Perciò tutta la Teucria si scioglie dal lungo lutto;
si aprono le porte, piace andare e vedere il campo

dorico
ed i luoghi deserti e il lido abbandonato:
qui la schiera dei Dolopi, qui s’accampava il crudele Achille;
qui

il posto per le flotte, qui solevano combattere in schiera.
Parte stupisce ed ammirano il micidiale dono della

vergine
Minerva e la mole del cavallo; e Timete per primo consiglia
che si guidato entro le mura e collocato sulla

rocca,
o per frode o già così dicevano i fati di Troia.
Ma Capi, e quelli cui (era) migliore il parere nella

mente,
consigliano o di precipitare in mare le insidie dei Danai ed i doni
sospetti e bruciare con fiamme accostate,
o

trapassare ed esplorare i cavi nascondigli del ventre.
Il volgo si spacca incerto in decisioni contrarie.
Qui per primo,

accompagnandolo gran folla,
Laocoonte ardente corse giù dalla sommità della rocca,
e da lontano O miseri cittadini,

quale sì grande pazzia?
Credete partiti i nemici? o pensate che nessun dono dei Danai
manchi di inganni? Così v’è noto

Ulisse?
o chiusi da questo legno si nascondono gli Achivi,
o questa macchina fu fabbricata contro le nostre mura,
per

controllare le case e per venire sopra la città,
o qualche inganno si cela; non credete al cavallo, Troiani.
Qualunque

ciò sia, temo i Danai anche portando doni.
Così detto scagliò un’enorme lancia con potenti energie
nel fianco della

bestia e nel ventre ricurvo per le strutture.
Ella ristette tremando, e percosso il ventre,
risuonarono le cave caverne e

diedero un gemito.
E se i fati degli dei, se la mente non fosse stata funesta,
aveva spinto col ferro a violare i segreti

Argolici,
ed ora Troia esisterebbe, e tu, alta rocca di Priamo resteresti.

 

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