Eneide, Libro 2, vv. 195-227 - Il sacrificio di Lacoonte

Eneide, Libro 2, vv. 195-227 - Il sacrificio di Lacoonte

Eneide, Libro 2, vv. 195-227 - Il sacrificio di Lacoonte

Nel secondo libro dell’Eneide, Virgilio ci trasporta nel cuore della tragedia che segnerà la caduta di Troia. Nei versi 195-227, l’epopea raggiunge uno dei suoi momenti più intensi e drammatici: l’inganno del Cavallo di Troia, il sacrificio di Lacoonte, e l’inizio del saccheggio della città. Questi versi descrivono il fatale tradimento, orchestrato dai Greci, che ingannano i Troiani con l’offerta del grande cavallo di legno, apparentemente abbandonato come dono sacro. La notte che segue, mentre Troia dorme ignara, il cavallo si rivela essere un’arma di distruzione, portando alla rovina una città già stremata da anni di guerra.

Virgilio, con la sua straordinaria maestria poetica, cattura l’atmosfera di tensione e presagio, descrivendo il momento in cui i soldati greci emergono dal cavallo, pronti a scatenare il caos. I versi sono carichi di immagini vivide e potenti, che evocano il senso di tradimento e disperazione che avvolge i Troiani, destinati a essere sopraffatti dall’astuzia nemica. L’oscurità della notte fa da sfondo al tradimento, con la città di Troia che si avvia verso la sua fine inevitabile.

Questa scena non è solo un momento di grande pathos, ma anche un potente simbolo della caducità della gloria umana e della fragilità delle certezze. L’inganno del Cavallo di Troia diventa un monito universale sulla potenza della strategia e della manipolazione, e su come l’arroganza e la fiducia mal riposta possano condurre alla rovina. Virgilio utilizza questo episodio per sottolineare la tragicità della guerra e la perdita irreparabile che essa porta con sé, preparando il terreno per l’epopea del viaggio di Enea verso una nuova patria.

Versione Tradotta dell’Eneide: Testo originale, Libro 2, vv. 195-227 – Il sacrificio di Lacoonte

Talibus insidiis periurique arte Sinonis
credita res, captique dolis lacrimisque coactis
quos neque

Tydides nec Larisaeus Achilles,
non anni domuere decem, non mille carinae.
Hic aliud maius miseris multoque tremendum

obicitur magis atque improvida pectora turbat.
Laocoon, ductus Neptuno sorte sacerdos,
sollemnis taurum ingentem

mactabat ad aras.
ecce autem gemini a Tenedo tranquilla per alta
horresco referens immensis orbibus angues
incumbunt

pelago pariterque ad litora tendunt;
pectora quorum inter fluctus arrecta iubaeque
sanguineae superant undas, pars cetera

pontum
pone legit sinuatque immensa volumine terga.
fit sonitus spumante salo; iamque arva tenebant
ardentisque

oculos suffecti sanguine et igni
sibila lambebant linguis vibrantibus ora.
diffugimus visu exsangues. illi agmine certo

Laocoonta petunt; et primum parva duorum
corpora natorum serpens amplexus uterque
implicat et miseros morsu

depascitur artus;
post ipsum auxilio subeuntem ac tela ferentem
corripiunt spirisque ligant ingentibus; et iam
bis

medium amplexi, bis collo squamea circum
terga dati superant capite et cervicibus altis.
ille simul manibus tendit

divellere nodos
perfusus sanie vittas atroque veneno,
clamores simul horrendos ad sidera tollit:
qualis mugitus,

fugit cum saucius aram
taurus et incertam excussit cervice securim.
at gemini lapsu delubra ad summa

dracones
effugiunt saevaeque petunt Tritonidis arcem,
sub pedibusque deae clipeique sub orbe teguntur.

Versione Tradotta dell’Eneide: Testo tradotto, Libro 2, vv. 195-227 – Il sacrificio di Lacoonte

Con tali insidie e
con l’arte dello spergiuro Sinone
la cosa fu creduta e catturati con inganni e lacrime costrette
quelli che non domarono

né il Tidide né Achille larisseo,
non dieci anni, non mille carene.
Qui un’altra cosa maggiore si presenta ai miseri e più
tremenda e turba gli animi inesperti.
Laocoonte, sacerdote estratto a sorte per Nettuno,
presso i solenni altari

uccideva un enorme toro.
Ma ecco da Tenedo serpenti gemelli per l’alto mare tranquillo
(inorridisco raccontandolo) con
immensi giri
incombono sul mare ed insieme si dirigono ai lidi;
ma i loro petti alzati tra i flutti e le

creste
sanguinee superano le onde l’altra parte raccoglie
dietro e incurva i dorsi immensi con una spira.
C’è un
fragore, spumeggiando il mare; ed ormai tenevano i campi
iniettati gli ardenti occhi di sangue e di fuoco
lambivano le

sibilanti bocche con le lingue vibranti.
Scappiamo pallidi in volto. Quelli in schiera sicura
vanno su Laocoonte; ed

anzitutto entrambi i serpenti,
abbracciati i piccoli corpi dei due figli
li avvolgono e divorano col morso le misere

membra;
poi afferrano lui stesso che accorre e porta le armi
e lo legano con enormi spire; ed ormai
abbracciatolo due

volte nel mezzo, due volte circondatogli
il collo con gli squamosi dorsi lo superano con testa ed alti colli.
Egli tenta

con le mani divellere i nodi
macchiate le bende di bava e nero veleno,
insieme alza alle stelle terribili grida:
quali

i muggiti, quando un toro ferito sfugge l’altare
e scuote dal capo la scure incerta.
Ma i draghi gemelli di corsa fuggono

ai sommi templi
e cercano la rocca della crudele Tritonide,
si nascondono sotto i piedi della dea e sotto il cerchio

dello scudo.

 

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