Eneide, Libro 2, traduzione vv. 559-633 - Studentville

Eneide, Libro 2, traduzione vv. 559-633

At me tum primum saevus circumstetit horror.
obstipui; subiit cari genitoris imago,

ut regem aequaevum crudeli vulnere vidi
vitam exhalantem, subiit deserta Creusa
et direpta domus et parvi casus

Iuli.
respicio et quae sit me circum copia lustro.
deseruere omnes defessi, et corpora saltu
ad terram misere aut

ignibus aegra dedere.
[Iamque adeo super unus eram, cum limina Vestae
servantem et tacitam secreta in sede

latentem
Tyndarida aspicio; dant claram incendia lucem
erranti passimque oculos per cuncta ferenti.
illa sibi infestos

eversa ob Pergama Teucros
et Danaum poenam et deserti coniugis iras
praemetuens, Troiae et patriae communis Erinys,

abdiderat sese atque aris invisa sedebat.
exarsere ignes animo; subit ira cadentem
ulcisci patriam et sceleratas

sumere poenas.
‘scilicet haec Spartam incolumis patriasque Mycenas
aspiciet, partoque ibit regina triumpho?

coniugiumque domumque patris natosque videbit
Iliadum turba et Phrygiis comitata ministris?
occiderit ferro

Priamus? Troia arserit igni?
Dardanium totiens sudarit sanguine litus?
non ita. namque etsi nullum memorabile

nomen
feminea in poena est, habet haec victoria laudem;
exstinxisse nefas tamen et sumpsisse merentis
laudabor

poenas, animumque explesse iuvabit
ultricis ? famam et cineres satiasse meorum.’
talia iactabam et furiata mente

ferebar,]
cum mihi se, non ante oculis tam clara, videndam
obtulit et pura per noctem in luce refulsit
alma parens,

confessa deam qualisque videri
caelicolis et quanta solet, dextraque prehensum
continuit roseoque haec insuper addidit

ore:
‘nate, quis indomitas tantus dolor excitat iras?
quid furis? aut quonam nostri tibi cura recessit?
non prius

aspicies ubi fessum aetate parentem
liqueris Anchisen, superet coniunxne Creusa
Ascaniusque puer? quos omnis undique

Graiae
circum errant acies et, ni mea cura resistat,
iam flammae tulerint inimicus et hauserit ensis.
non tibi

Tyndaridis facies invisa Lacaenae
culpatusve Paris, divum inclementia, divum
has evertit opes sternitque a culmine

Troiam.
aspice namque omnem, quae nunc obducta tuenti
mortalis hebetat visus tibi et umida circum
caligat, nubem

eripiam; tu ne qua parentis
iussa time neu praeceptis parere recusa:
hic, ubi disiectas moles avulsaque saxis
saxa

vides, mixtoque undantem pulvere fumum,
Neptunus muros magnoque emota tridenti
fundamenta quatit totamque a sedibus

urbem
eruit. hic Iuno Scaeas saevissima portas
prima tenet sociumque furens a navibus agmen
ferro accincta

vocat.
iam summas arces Tritonia, respice, Pallas
insedit nimbo effulgens et Gorgone saeva.
ipse pater Danais animos

virisque secundas
sufficit, ipse deos in Dardana suscitat arma.
eripe, nate, fugam finemque impone labori;
nusquam

abero et tutum patrio te limine sistam.’
dixerat et spissis noctis se condidit umbris.
apparent dirae facies

inimicaque Troiae
numina magna deum.
Tum vero omne mihi visum considere in ignis
Ilium et ex imo verti Neptunia

Troia:
ac veluti summis antiquam in montibus ornum
cum ferro accisam crebrisque bipennibus

instant
eruere agricolae certatim, illa usque minatur
et tremefacta comam concusso vertice nutat,
vulneribus donec

paulatim evicta supremum
congemuit traxitque iugis avulsa ruinam.
descendo ac ducente deo flammam inter et

hostis
expedior: dant tela locum flammaeque recedunt.

Versione tradotta

Ma un crudele orrore allora anzitutto mi

circondò.
Stupii; subentrò l’immagine del caro genitore,
come vidi il coetaneo re esalante la vita
con

crudele colpo, subentrò l’abbandonata Creusa
e la casa saccheggiata e la sorte del piccolo Iulo.
Osservo e controllo

quale sia la forza attorno a me.
Tutti sfiniti se ne sono andati e con un salto hanno gettato
i corpi a terra o li hanno

dati feriti alle fiamme.
[ Ormai dunque ero solo, quando intravedo la Tindaride
occupante le soglie di Vesta e si

nascondeva tacita
in posto segreto; gli incendi danno chiara luce
al viandante e porta gli occhi qua e là per

tutto.
Ella temendo nemici i Teucri per Pergamo distrutta
e la vendetta dei Danai e le ire del coniuge tradito,
comune

Erinni di Troia e della patria,
s’era nascosta e odiata sedeva agli altari.
Arsero fuochi nell’animo; subentra l’ira di

vendicare
la patria morente e prendermi scellerate vendette.
“Naturalmente costei incolume vedrà Sparta e

la paterna
Micene, e ottenuto il trionfo vi andrà regina?
E il matrimonio e la casa, i padri ed i figli

vedrà,
accompagnata dalla folla degli Iliadi e dai Frigi servi?
Priamo sarà morto di spada? Troia arsa dal fuoco?
Il

lido Dardanio avrà grondato tante volte di sangue?
No così. Infatti anche se mai c’è fama memorabile
in vendetta di

donna, (né) questa vittoria ottiene lode;
sarò lodato d’aver tuttavia ucciso un mostro e aver preso
vendette meritevoli,

e gioverà aver riempito il cuore della vendicatrice?
aver saziato la fama e le ceneri dei miei.”
Tali cose meditavo ed

ero trascinato dalla mente infuriata,]
quando mi si offerse, non sì chiara davanti agli occhi,
visibile e splendette

nella notte di pura luce
la grande madre, manifestandosi dea quale e quanto bella
suole apparire ai celesti, e mi

trattenne preso dalla destra
ed inoltre aggiunse queste parole con la rosea bocca:
“Figlio, quale sì grande dolore eccita

ire indomite?Perché ti infuri? o
dove se n’è andata per te la premura di noi?
Non guarderai prima dove abbia abbandonato

il padre Anchise,
stanco per l’età, se la moglie Creusa sopravviva
el il piccolo Ascanio?Ma tutte le schiere Graie

dovunque li
attorniano e, se la mia cura non assistesse,
già le fiamme li avrebbero avvolti e la spada nemica uccisi.

Non ti sia odiosa la vista della Lacena Tindaride
o incolpato Paride, l’inclemenza degli dei, proprio degli

dei,
distrugge questi beni e abbatte Troia dalla cima.
Infatti guarda tutta la nube, che ora calata ti offusca
mentre

scruti gli sguardi mortali ed attorno umida
s’addensa, la toglierò; tu non temere gli ordini della madre
e non rifiutare

di obbedire ai comandi:
qui, dove vedi gli edifici divelti e le pietre strappate
dalle pietre e il fumo ondeggiante con

mista polvere,
Nettuno scuote le mura e le fondamenta smosse
dal grande tridente e sradica tutta la città dalle

sedi.
Qui Giunone crudelissima occupa per prima le porte
Scee e furente, cinta di spada, chiama la truppa alleata.

Già Pallade Tritonia, osserva, ha occupato la sommità
delle rocche sfolgorante col nembo e la crudele Gorgone.
Lo stesso

padre offre ai Danai coraggio e forze propizie,
lui stesso sprona gli dei contro le armi Dardane.
Togliti, figlio,

imponiti la fuga e la fine all’affanno;
mai m’allontanerò e ti assisterò sicuro sulla soglia paterna.”
Aveva parlato e si

nascose nelle opache ombre della notte.
Appaiono scene crudeli e le grandi potenze degli dei
avverse a Troia.
Allora

davvero mi parve che Ilio sprofondasse
nel fuoco e che la Nettunia Troia fosse scossa alla base
e come gli agricoltori

insistono a gara sulla cima dei monti
a sradicare un antico orno stroncato col ferro
e con fitte bipenni, ella

sempre minaccia
e fatta tremare, sconvolta la cima, ondeggia la chioma,
finché a poco a poco vinta dalle ferite alla

fine
gemette e divelta portò rovina tra i gioghi.
Discendo e guidandomi un dio mi libero tra fiamma
e nemici: i dardi

fan posto e le fiamme si ritirano.

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