Eneide, Libro 2, traduzione vv. 634-729 - Studentville

Eneide, Libro 2, traduzione vv. 634-729

Atque ubi iam patriae perventum ad limina

sedis
antiquasque domos, genitor, quem tollere in altos
optabam primum montis primumque petebam,
abnegat excisa vitam

producere Troia
exsiliumque pati. ‘vos o, quibus integer aevi
sanguis,’ ait, ‘solidaeque suo stant robore

vires,
vos agitate fugam.
me si caelicolae voluissent ducere vitam,
has mihi servassent sedes. satis una superque

vidimus excidia et captae superavimus urbi.
sic o sic positum adfati discedite corpus.
ipse manu mortem inveniam;

miserebitur hostis
exuviasque petet. facilis iactura sepulcri.
iam pridem invisus divis et inutilis annos
demoror,

ex quo me divum pater atque hominum rex
fulminis adflavit ventis et contigit igni.’
Talia perstabat memorans

fixusque manebat.
nos contra effusi lacrimis coniunxque Creusa
Ascaniusque omnisque domus, ne vertere secum
cuncta

pater fatoque urgenti incumbere vellet.
abnegat inceptoque et sedibus haeret in isdem.
rursus in arma feror mortemque

miserrimus opto.
nam quod consilium aut quae iam fortuna dabatur?
‘mene efferre pedem, genitor, te posse

relicto
sperasti tantumque nefas patrio excidit ore?
si nihil ex tanta superis placet urbe relinqui,
et sedet hoc

animo perituraeque addere Troiae
teque tuosque iuvat, patet isti ianua leto,
iamque aderit multo Priami de sanguine

Pyrrhus,
natum ante ora patris, patrem qui obtruncat ad aras.
hoc erat, alma parens, quod me per tela, per

ignis
eripis, ut mediis hostem in penetralibus utque
Ascanium patremque meum iuxtaque Creusam
alterum in alterius

mactatos sanguine cernam?
arma, viri, ferte arma; vocat lux ultima victos.
reddite me Danais; sinite instaurata

revisam
proelia. numquam omnes hodie moriemur inulti.’
Hinc ferro accingor rursus clipeoque sinistram
insertabam

aptans meque extra tecta ferebam.
ecce autem complexa pedes in limine coniunx
haerebat, parvumque patri tendebat

Iulum:
‘si periturus abis, et nos rape in omnia tecum;
sin aliquam expertus sumptis spem ponis in armis,
hanc

primum tutare domum. cui parvus Iulus,
cui pater et coniunx quondam tua dicta relinquor?’
Talia vociferans gemitu

tectum omne replebat,
cum subitum dictuque oritur mirabile monstrum.
namque manus inter maestorumque ora parentum

ecce levis summo de vertice visus Iuli
fundere lumen apex, tactuque innoxia mollis
lambere flamma comas et circum

tempora pasci.
nos pavidi trepidare metu crinemque flagrantem
excutere et sanctos restinguere fontibus ignis.
at

pater Anchises oculos ad sidera laetus
extulit et caelo palmas cum voce tetendit:
‘Iuppiter omnipotens, precibus si

flecteris ullis,
aspice nos, hoc tantum, et si pietate meremur,
da deinde auxilium, pater, atque haec omina firma.’

Vix ea fatus erat senior, subitoque fragore
intonuit laevum, et de caelo lapsa per umbras
stella facem ducens multa

cum luce cucurrit.
illam summa super labentem culmina tecti
cernimus Idaea claram se condere silva
signantemque vias;

tum longo limite sulcus
dat lucem et late circum loca sulphure fumant.
hic vero victus genitor se tollit ad

auras
adfaturque deos et sanctum sidus adorat.
‘iam iam nulla mora est; sequor et qua ducitis adsum,
di patrii;

servate domum, servate nepotem.
vestrum hoc augurium, vestroque in numine Troia est
cedo equidem nec, nate, tibi comes

ire recuso.’
dixerat ille, et iam per moenia clarior ignis
auditur, propiusque aestus incendia volvunt.
‘ergo

age, care pater, cervici imponere nostrae;
ipse subibo umeris nec me labor iste gravabit;
quo res cumque cadent, unum et

commune periclum,
una salus ambobus erit. mihi parvus Iulus
sit comes, et longe servet vestigia coniunx.

vos, famuli, quae dicam animis advertite vestris.
est urbe egressis tumulus templumque vetustum
desertae Cereris,

iuxtaque antiqua cupressus
religione patrum multos servata per annos;
hanc ex diverso sedem veniemus in unam.
tu,

genitor, cape sacra manu patriosque penatis;
me bello e tanto digressum et caede recenti
attrectare nefas, donec me

flumine vivo
abluero.’
haec fatus latos umeros subiectaque colla
veste super fulvique insternor pelle

leonis,
succedoque oneri; dextrae se parvus Iulus
implicuit sequiturque patrem non passibus aequis;
pone subit

coniunx. ferimur per opaca locorum,
et me, quem dudum non ulla iniecta movebant
tela neque adverso glomerati examine

Grai,
nunc omnes terrent aurae, sonus excitat omnis
suspensum et pariter comitique onerique timentem.

Versione tradotta

E quando già si giunse alle soglie ed agli antichi palazzi
della casa paterna, il padre, che anzitutto

volevo portare
sugli alti monti e ricercavo anzitutto,
rifiuta, abbattuta Troia, di continuare la vita
e patire l’

esilio. “Oh voi, per i quali il sangue dell’età è
integro, dice, e le solide forze stanno nella loro vitalità,
voi

organizzate la fuga.
Se i celesti avessero voluto che continuassi la vita,
mi avrebbero conservato queste sedi.

Abbastanza e insieme troppo
abbiamo visto eccidi e sopravvivemmo alla città occupata.
Così, oh così dopo aver salutato il

corpo deposto, partite.
Io troverò la morte di mia mano; il nemico avrà compassione
e chiederà le spoglie. E’ facile la

rinuncia del sepolcro.
Già da tempo odiato dagli dei trascorro pure
inutili anni, da quando il padre degli dei e re degli

uomini
mi sfiorò coi venti del fulmine e mi toccò col fuoco”.
S’ostinava ricordando tali cose e restava fermo.

Noi davanti sciolti in lacrime, e la moglie Creusa
e Ascaniao e tutta la casa, che il padre non volesse
distruggere

tutto e darsi ad un fato opprimente.
Rifiuta e s’attacca al proposito ed alle sedi stesse.
Di nuovo mi butto nell’armi e

molto infelice voglio la morte.
Infatti quale decisione o quale sorte era data?
“ O padre, sperasti forse che io potessi

muovere un passo,abbandonato
te, e sì grave mostruosità cadde dalla bocca paterna?
Se agli dei piace che nulla sia

lasciato da sì grande città,
e ciò dura nel cuore e ti piace aggiungere a Troia che perirà
te ed i tuoi, la porta si

spalanca a tale rovina,
ormai si presenterà Pirro dal molto sangue di Priamo, che sgozza
il figlio davanti agli occhi del

padre, il padre presso gli altari.
Era per questo, grande madre, che mi strappi tra armi e
tra fiamme, perché veda il

nemico in mezzo ai penetrali e
perché (veda) Ascanio e mio padre e Creusa vicino
sacrificati uno nel sangue dell’altro?

Le armi, uomini, portate armi; l’ultima luce per i vinti chiama.
datemi ai Danai; lasciate che riveda i

combattimenti
iniziati. Certamente non tutti moriremo oggi non vendicati.”
Allora di nuovo mi cingo della spada e

adattandola inserivo
la sinistra allo scudo e mi portavo fuori di casa.
Ma ecco la sposa sulla soglia abbracciandomi i

piedi
s’attaccava e tendeva al padre il piccolo Iulo:
“ Se parti per morire, prendi anche noi con te per ogni caso;

se invece sperimentatolo, poni qualche speranza nelle armi indossate,
assicura prima questa casa. A chi il piccolo

Iulo,
a chi il padre ed io un tempo detta tua sopsa sono lasciata?”
Così gridando riempiva di pianto tutta la

casa,
quando improvviso si mostra un prodigio, mirabile a dirsi.
infatti tra le mani ed i volti dei tristissimi

genitori
ecco il leggera ciuffo di Iulo dalla cima della testa sembrò
spandere una luce ed una innocua fiamma, morbida

al tatto
lambire i capelli ed appagarsi intorno alle tempia.
Noi spaventati dalla paura trepidiamo e scuotiamo la

chioma
bruciante e spegnere con acque i santi fuochi.
Ma il padre Anchise lieto alzò gli occhi alle stelle
e tese le

palme al cielo con una preghiera:
“Giove onnipotente, se ti pieghi a qualche supplica,
guardaci, solo questo, e se

meritiamo per la virtù,
da’ poi aiuto, padre, e conferma questi presagi”.
Aveva appena parlato il vecchio ed il lato

destro
tuonò ‘dimprovviso fragore, ed una stella caduta dal cielo
recando una fiamma tra le ombre corse con intensa

luce
La vediamo luminosa sopra la sommità del tetto
nascondersi cadendo nella selva idea segnalando le vie;
poi per

lungo tratto il solco
dà luce e vastamente attorno i luoghi fumano di zolfo.
Allora davvero il padre vinto si alza verso

il cielo
e parla agli dei ed adora la santa stella.
“Nessun indugio mai più; vi seguo e dove guidate ci sono, 2.701

o dei patrii; salvate la casa, salvate il nipote.
questo presagio è vostro e Troia sotto la vostra protezione.
Vengo

senz’altro, figlio, né rifiuto di venirti compagno.”
Egli aveva parlato e già per le mura si sente più chiaro
il fuoco, e

più vicino gli incendi lanciano vampe.
“Su via, caro padre, mettiti al nostro collo;
io mi sottoporrò con le spalle né

questa fatica mi peserà;
Comunque accadranno le cose, uno e comune il pericolo,
unica salvezza ci sarà per entrambi. Mi

sia compagno il piccolo
Iulo, e dietro la sposa segua le orme:
Voi, servi, osservate coi vostri cuori quello che io

dica.
C’è, usciti dalla città un’altura ed un tempio antico
di Cerere abbandonata, e vicino un vecchio

cipresso
serbato per molti anni dalla religiosità dei padri;
arriveremo da punti diversi a quest’unico luogo.
Tu,

padre, prendi in mano le cose sacre ed i patrii penati;
è sacrilegio che io uscito da sì grande guerra e strage
recente

li tocchi, finché con fiume vivo mi
sarò lavato.”
Detto questo, mi ricopro sopra le larghe spalle ed
i colli curvati

d’una pelle di biondo leone,
e mi sottopongo al carico; il piccolo Iulo si attaccò
alla destra e segue il padre con

passi non uguali;
dietro viene la sposa. Ci portiamo per luoghi oscuri, 2.
e me, che nessuna arma scagliata

poco prima impauriva,
né i Grai riuniti co schiera avversa,
ora tutti i soffi mi atterriscono; ogni suono mi

agita
perplesso ed ugualmente titubante per il compagno ed il carico.

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