Dum elephanti traiciuntur, interim Hannibal Numidas equites quingentos ad castra
Romana miserat speculatuni ubi et quantae copiae essent et quid pararent. Huic alae equitum missi, ut ante dictuin est, ab
ostio Rhodani trecenti Romanoruin equites occurrunt. Proeliuni atrocius quam pro numero pugnantium editur; nam praeter multa
vulnera caedes etiam prope par utrinique fuit, fugaque et pavor Numidarimi Romanis iani admodum fessis victoriam dedit.
Victores ad centum sexaginta, nec orimes Romani sed pars Gallorum, victi amplius ducenti ceciderunt. Hoc principium simul
omenque belli ut summae rerum prosperuin eventum, ita haud sane incruentam ancipitisque certaminis victoriam Romanis portendit.
Ut re ita gesta ad utrumque ducem sui redierunt, nec Scipioni stare sententia poterat nisi ut ex consiliis coeptisque hostis et
ipse conatus caperet, et Hannibalem, incertuin utrum coeptum in Italiani intenderet iter an cum eo qui primus se obtulisset
Romanus exercitus manus consèreret, avertit a praesenti certamine Boioruin legatorum. regulique Magali adventus, qui se duces
itinerum, socios periculi fore adfirmantes, integro bello nusquam ante libatis viribus Italiani adgrediendam censent. Multitudo
timebat quideni hostem nondum oblitterata memoria superioris belli; sed magis iter immensum Alpesque, reni fama utique
inexpertis horrendam, metuebat.
Versione tradotta
Mentre gli elefanti venivano traghettati, Annibale aveva mandato cinquecento cavalieri Numidi in
direzione degli accampamenti romani per una ricognizione: voleva sapere dove fossero le truppe romane, quanto numerose fossero
e cosa stessero preparando. I trecento cavalieri romani fatti partire, come ho raccontato prima, dalla foce del Rodano, si
imbatterono in questo reparto di cavalleria: ne nacque uno scontro più sanguinoso di quanto ci si potesse aspettare
dall'esiguo numero dei combattenti. Infatti, anche a non tener conto dei molti feriti, vi fu quasi uguale strage sui due
fronti e solo la fuga dei Numidi spaventati diede la vittoria ai Romani già molto stanchi. I vincitori registrarono
centoquaranta caduti (non tutti romani ma anche, in parte, galli), gli sconfitti più di duecento. Questo primo episodio del
conflitto - una sorta di presagio dell'intera guerra - preannunciò ai Romani l'esito nel complesso favorevole delle
ostilità, ma anche una vittoria non certo incruenta a conclusione di una contrapposizione a lungo incerta. Dopo questo
combattimento i cavalieri fecero ritorno presso i comandanti: Scipione non aveva altro proposito che prendere a sua volta
iniziative sulla base delle decisioni e delle opere già intraprese dal nemico; Annibale era invece incerto se proseguire il
viaggio portandosi in Italia o se venire invece ad uno scontro con quel primo esercito romano che gli si era parato davanti. Lo
distolse dallo scendere subito a battaglia l'arrivo degli ambasciatori dei Boi e del loro capo Magalo, i quali affermarono
che lo avrebbero guidato nel viaggio e sarebbero stati suoi compagni nel pericoli, esprimendo il parere che si dovesse giungere
in Italia senza aver prima effettuato azioni di guerra e senza che in nessun caso prima fossero state intaccate le forze
cartaginesi. Il ricordo della guerra precedente non si era ancora cancellato e la massa dei soldati temeva il nemico ma era
addirittura terrorizzata dal lunghissimo viaggio attraverso le Alpi: un'impresa, si diceva, da mettere i brividi soprattutto
a chi non ne aveva mai fatto esperienza.
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