Ab urbe condita - Libro 21, Par. 33 - Studentville

Ab urbe condita - Libro 21, Par. 33

Prima deinde luce castra mota et agmen reliquum incedere coepit. lam

montani signo dato ex castellis ad stationem solitam conveniebant, cum repente conspiciunt alios arce occupata sua super caput

imminentes, alios via transire hostes. Utraque simul obiecta res oculis animisque immobiles parumper eos defixit; deinde, ut

trepidationem in angustiis suoque ipsum tumultu misceri agmen videre, equis maxime consternatis, quidquid adiecissent ipsi

terroris satis ad perniciem fore rati, perversis rupibus iuxta, invia ac devia adsueti decurrunt. Tum vero simul ab hostibus,

simul ab iniquitate locorum Poeni oppugnabantur plusque inter ipsos, sibi quoque tendente ut periculo primus evaderet, quam cum

hostibus certaminis erat. Et equi maxime infestum agmen faciebant, qui et clamoribus dissonis quos nemora etiam repercussaeque

valles augebant territi trepidabant, et icti forte aut vulnerati adeo consternabantur, ut stragem ingentem simul hominum ac

sarcinarum omnis generis facerent; multosque turba, cum praecipites deruptaeque utrimque angustiae essent, in immensum

altitudinis deiecit, quosdam et armatos; et ruinae maxime modo iumenta cum oneribus devolvebantur. Quae quamquam foeda visu

erant, stetit partimper tamen Hannibal ac suos continuit, ne tumultum ac trepidationem augeret; deinde, postquam interrumpi

agmen vidit periculumque esse, ne exutum impedimentis exercitum nequiquam incolumem traduxisset, decurrit ex superiore loco et,

cum impetu ipso fudisset hostem, suis quoque tumultum auxit. Sed is tumultus momento temporis, postquam liberata itinera fuga

montanorum erant, sedatur, nec per otiuni modo sed prope silentio mox omnes traducti. Castellum inde, quod caput eius regionis

erat, viculosque circumiectos capit et captivo cibo ac pecoribus per triduurn exercitum aluit; et, quia nec a montanis primo

perculsis nec loco magno opere impediebantur, aliquantum eo triduo viae confecit.

Versione tradotta

I

Cartaginesi mossero l'accampamento alle prime luci del giorno e quello che restava dell'esercito si mise in marcia. Già i

montanari si erano dati il segnale e cominciavano ad affluire dai loro villaggi verso la consueta stazione di guardia, quando

all'improvviso si resero conto che parte dei nemici aveva occupato la loro roccaforte e incombeva sulle loro teste, mentre

un'altra parte stava transitando sulla strada più in basso. Questi due fatti, presentafisi all'improvviso ai loro occhi e

ai loro animi, per qualche istante li tennero immobili; poi, quando videro che in quelle strettoie i Cartaginesi si facevano

prendere dalla confusione e dall'ansia da soli, soprattutto a causa dello spavento dei cavalli, pensarono che se essi

avessero aggiunto un qualsiasi altro motivo di panico i nemici sarebbero precipitati nel disastro. Cominciarono dunque a

correre giù, ugualmente abituati ai luoghi più impraticabili e inaccessibili, dai dirupi. Ma davvero in quei frangenti i

Cartaginesi dovevano lottare contro i nemici e, insieme, contro le difficoltà del terreno; anzi, il maggior pericolo veniva dai

loro contrasti interni, perché ciascuno cercava di darsi da fare per conto suo per trarsi d'impaccio prima degli altri. Ma

ad essere pericolosi per l'avanzata dell'esercito erano soprattutto i cavalli, i quali si imbizzarrivano, atterriti dai

clamori dissonanti che venivano amplificati dai boschi e dall'eco delle vallate. Quando poi per caso venivano colpiti o

feriti, il loro spavento aumentava a tal punto che provocavano una grandissima rovina tra gli uomini e nell'equipaggiamento

di ogni tipo. Uaccalcarsi generale ne fece cadere poi molti (assieme anche a dei soldati) nei profondissimi precipizi, poiché

quelle gole erano, ora su un lato della via ora sull'altro, dirupate e scoscese. Ma a precipitare con tutto il loro carico,

simili a valanghe, erano soprattutto le bestie da soma. Era certamente uno spettacolo angosciante a vedersi: tuttavia Annibale

per qualche tempo rimase fermo e trattenne anche quelli che erano con lui per non far crescere tumulto e confusione. Ma quando

vide che la colonna si stava spezzando in più tronconi comprese quanto grande fosse il pericolo di far passare l'esercito

sano e salvo, ma perdendo tutte le salmerie. Allora si precipitò giù dalla posizione sopraelevata e bastò quello slancio per

disperdere i nemici; tuttavia aumentò anche la confusione tra i suoi. Ma questa confusione si placò ben presto, appena la

strada fu libera grazie alla fuga dei montanari. Il resto del passaggio avvenne per tutti non solo in modo tranquillo, ma

perfino quasi silenzioso. Annibale prese poi una cittadella fortificata, che era il centro principale di quella regione,

assieme ad alcuni villaggi dei dintorni; per tre giorni vettovagliò il suo esercito con cibo e bestiame requisiti. Poi, senza

incontrare grandi ostacoli nei montanari, sgominati in quel primo scontro, e nella conformazione del terreno, nei tre giorni

successivi compì un buon tratto di strada.

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