Ab urbe condita - Libro 29, Par. 16-17 - Studentville

Ab urbe condita - Libro 29, Par. 16-17

Omnes deinde alias curas una occupauit postquam Locrensium clades, quae

ignoratae ad eam diem fuerant, legatorum aduentu uolgatae sunt; nec tam Plemini scelus quam Scipionis in eo aut ambitio aut

neglegentia iras hominum inritauit. decem legati Locrensium obsiti squalore et sordibus in comitio sedentibus consulibus

uelamenta supplicum, ramos oleae, ut Graecis mos est, porgentes ante tribunal cum flebili uociferatione humi procubuerunt.

quaerentibus consulibus Locrenses se dixerunt esse, ea passos a Q. Pleminio legato Romanisque militibus quae pati ne

Carthaginienses quidem uelit populus Romanus; orare uti sibi patres adeundi deplorandique aerumnas suas potestatem facerent.

Senatu dato, maximus natu ex iis: ‘scio, quanti aestimentur nostrae apud uos querellae, patres conscripti, plurimum in eo

momenti esse si probe sciatis et quomodo proditi Locri Hannibali sint et quomodo pulso Hannibalis praesidio restituti in

dicionem uestram; quippe si et culpa defectionis procul a publico consilio absit, et reditum in uestram dicionem appareat non

uoluntate solum sed ope etiam ac uirtute nostra, magis indignemini bonis ac fidelibus sociis tam indignas tam atroces iniurias

ab legato uestro militibusque fieri. sed ego causam utriusque defectionis nostrae in aliud tempus differendam arbitror esse

duarum rerum gratia; unius ut coram P. Scipione, qui Locros recepit omnium nobis recte perperamque factorum est testis,

agatur; alterius quod qualescumque sumus tamen haec quae passi sumus pati non debuimus. non possumus dissimulare, patres

conscripti, nos cum praesidium Punicum in arce nostra haberemus, multa foeda et indigna et a praefecto praesidii Hamilcare et

ab Numidis Afrisque passos esse; sed quid illa sunt, conlata cum iis quae hodie patimur?

Versione tradotta

Quindi una sola fra le altre preoccupazioni occupava tutti i senatori dopo che le

stragi dei Locresi, che erano state ignorate fino a quel giorno, furono rese note all’arrivo degli ambasciatori, non tanto il

delitto di Pleminio, quanto l’accondiscenza o la negligenza di Scipione verso quello suscitò le ire degli uomini. Dieci

ambasciatori Locresi coperti di sudiciume e sporcizie, porgendo rami d’ulivo, com’è d’uso in Grecia, ai consoli che sedevano in

comizio, avvolti in bende di supplici davanti al tribunale si chinarono a terra con un flebile grido. Ai consoli che lo

chiedevano i Locresi dissero che patirono dall’ambasciatore Pleminio e dai soldati romani quelle cose che neanche il popolo

romano volesse che i Cartaginesi subissero; e che pregarono affinché i senatori gli permettessero di affrontare e di piangere

le loro tribolazioni. Convocato il senato, il più grande d’età tra quelli: ”So quanto vengono considerate le nostre lamentele

presso di voi, o senatori, e quanto sia importante in questo momento se sappiate giustamente e in che modo i Locresi siano

stati traditi da Annibale e avendo respinto la guarnigione di Annibale siano tornati sotto il vostro dominio, e anzi, se la

colpa delle defezione è lontana dalla pubblica decisione appaia il ritorno sotto il vostro potere non soltanto per la volontà,

ma anche per la nostra opera e virtù, maggiormente indignatevi che ingiurie tanto indegne e atroci siano state fatte ad alleati

buoni e fedeli dal vostro legato dei soldati. Ma io ritengo che la causa di entrambe le defezioni sia da rimandare in altro

tempo per due motivi: uno affinché si svolga (il processo) alla presenza di Scipione, che liberò Locri ed è testimone delle

azioni per noi rette e ingiuste, l’altro perché qualunque cosa siamo non dovevamo sopportare quelle angherie che abbiamo

sopportato. Non possiamo dissimularle, senatori, che quando noi avevamo nella nostra città il presidio punico, abbiamo subito

molte azioni deplorevoli ed indegne sia dal prefetto del presidio, Annibale, sia dai Numidi e dagli Afri; ma che cosa sono

quelle paragonate a quelle che subiamo oggi?

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