Lettera 23 dal Libro 3 delle Epistulae Morales ad Lucilium di Seneca: versione tradotta
[1] Putas me tibi scripturum quam humane nobiscum hiemps gerit, quae et remissa fuit et brevis, quam malignum ver sit, quam
praeposterum frigus, et alias ineptias verba quaerentium? Ego vero aliquid quod et mihi et tibi prodesse possit scribam. Quid
autem id erit nisi ut te exhorter ad bonam mentem? Huius fundamentum quod sit quaeris? ne gaudeas vanis. Fundamentum hoc esse
dixi: culmen est. Ad summa pervenit qui scit quo gaudeat, qui felicitatem suam in aliena potestate non posuit; sollicitus est
et incertus sui quem spes aliqua proritat, licet ad manum sit, licet non ex difficili petatur, licet numquam illum sperata
deceperint. [3] Hoc ante omnia fac, mi Lucili: disce gaudere. Existimas nunc me detrahere tibi multas voluptates qui fortuita
summoveo, qui spes, dulcissima oblectamenta, devitandas existimo? immo contra nolo tibi umquam deesse laetitiam. Volo illam
tibi domi nasci: nascitur si modo intra te ipsum fit. Ceterae hilaritates non implent pectus; frontem remittunt, leves sunt,
nisi forte tu iudicas eum gaudere qui ridet: animus esse debet alacer et fidens et supra omnia erectus. [4] Mihi crede, verum
gaudium res severa est. An tu existimas quemquam soluto vultu et, ut isti delicati loquuntur, hilariculo mortem contemnere,
paupertati domum aperire, voluptates tenere sub freno, meditari dolorum patientiam? Haec qui apud se versat in magno gaudio
est, sed parum blando. In huius gaudii possessione esse te volo: numquam deficiet, cum semel unde petatur inveneris. [5] Levium
metallorum fructus in summo est: illa opulentissima sunt quorum in alto latet vena assidue plenius responsura fodienti. Haec
quibus delectatur vulgus tenuem habent ac perfusoriam voluptatem, et quodcumque invecticium gaudium est fundamento caret: hoc
de quo loquor, ad quod te conor perducere, solidum est et quod plus pateat introrsus. [6] Fac, oro te, Lucili carissime, quod
unum potest praestare felicem: dissice et conculca ista quae extrinsecus splendent, quae tibi promittuntur ab alio vel ex alio;
ad verum bonum specta et de tuo gaude. Quid est autem hoc ‘de tuo’? te ipso et tui optima parte. Corpusculum bonum esse
credideris: veri boni aviditas tuta est. [7] Quod sit istud interrogas, aut unde subeat? Dicam: ex bona conscientia, ex
honestis consiliis, ex rectis actionibus, ex contemptu fortuitorum, ex placido vitae et continuo tenore unam prementis viam.
Nam illi qui ex aliis propositis in alia transiliunt aut ne transiliunt quidem sed casu quodam transmittuntur, quomodo habere
quicquam certum mansurumve possunt suspensi et vagi? [8] Pauci sunt qui consilio se suaque disponant: ceteri, eorum more quae
fluminibus innatant, non eunt sed feruntur; ex quibus alia lenior unda detinuit ac mollius vexit, alia vehementior rapuit, alia
proxima ripae cursu languescente deposuit, alia torrens impetus in mare eiecit. Ideo constituendum est quid velimus et in eo
perseverandum.
[9] Hic est locus solvendi aeris alieni. Possum enim tibi vocem Epicuri tui reddere et hanc epistulam
liberare: ‘molestum est semper vitam inchoare’; aut si hoc modo magis sensus potest exprimi, ‘male vivunt qui semper
vivere incipiunt’. [10] ‘Quare?’ inquis; desiderat enim explanationem ista vox. Quia semper illis imperfecta vita est;
non potest autem stare paratus ad mortem qui modo incipit vivere. Id agendum est ut satis vixerimus: nemo hoc praestat qui
orditur cum maxime vitam. [11] Non est quod existimes paucos.esse hos: propemodum omnes sunt. Quidam vero tunc incipiunt cum
desinendum est. Si hoc iudicas mirum, adiciam quod magis admireris: quidam ante vivere desierunt quam inciperent. Vale.
Versione tradotta
1 Pensi
che ti scriva quanto è stato benevolo con noi l'inverno, così mite e breve, quanto sia maligna la primavera, quanto fuori
stagione il freddo e altre sciocchezze tipiche di chi non ha argomenti? Ti scriverò invece, qualcosa che possa essere utile a
entrambi. E che altro se non esortarti alla saggezza? Chiedi quale ne sia il fondamento? Non compiacersi delle vanità. 2 Ho
detto il fondamento: dovevo dire il culmine. E lo raggiunge chi sa di che cosa gioire, chi non mette la sua felicità nelle mani
d'altri; è preoccupato e insicuro l'uomo che si lascia sedurre da una qualche speranza, anche se l'ha a portata di
mano, anche se non è difficile a realizzarsi, anche se non è mai stato deluso nelle sue attese. 3 Impara innanzi tutto a
gioire, Lucilio mio. Pensi davvero che ti voglia privare di molti piaceri perché allontano i beni fortuiti e ritengo che si
debba evitare il dolce conforto della speranza? Anzi, al contrario, non voglio che ti manchi mai la gioia. Voglio, però che ti
nasca in casa: e nasce, purché scaturisca dall'intimo. Le altre forme di contentezza non riempiono il cuore; rasserenano il
volto, ma sono fugaci, a meno che tu non giudichi felice uno che ride: l'animo deve essere allegro e fiducioso ed ergersi al
di sopra di tutto. 4 Credimi, la vera gioia è austera. Oppure ritieni che l'uomo sereno e, come dicono questi sdolcinati,
gaio in volto, disprezzi la morte, apra la sua casa alla povertà, tenga a freno i piaceri, si prepari a sopportare i dolori?
Chi medita su questi pensieri prova una grande gioia, anche se poco seducente. Questa gioia voglio che tu la possieda: non
verrà mai meno, una volta che tu sappia da dove derivi. 5 I metalli vili si trovano in superficie: i più preziosi sono
nascosti, invece, nelle viscere della terra, e procurano un compenso maggiore a chi ha la costanza di scavare. Quei beni di cui
si compiace la massa dànno un piacere inconsistente e superficiale: ogni gioia che viene dall'esterno manca di fondamenta:
questa, di cui ti parlo e alla quale cerco di condurti, è reale e si spiega più intensamente nell'intimo. 6 Ti prego,
carissimo, fa' la sola cosa che può renderti felice: distruggi e calpesta questi beni splendidi solo esteriormente, che uno
ti promette o che speri da un altro; aspira al vero bene e godi del tuo. Ma che cosa è "il tuo"? Te stesso e la parte migliore
di te. Anche il corpo, povera cosa, benché non se ne possa fare a meno, stimalo necessario più che importante; ci procura
piaceri vani, di breve durata, di cui necessariamente ci pentiamo e che, se non li frena una grande moderazione, hanno un esito
opposto. Questo dico: il piacere sta sul filo, e si muta in dolore se non ha misura; ma è difficile tenere una giusta misura in
quello che si crede un bene: solo il desiderio, anche intenso, del vero bene è senza pericoli. 7 Vuoi sapere che cosa sia il
vero bene o da dove venga? Te lo dirò: dalla buona coscienza, dagli onesti propositi, dalle rette azioni, dal disprezzo del
caso, dal tranquillo e costante tenore di vita di chi segue sempre lo stesso cammino. Quegli uomini che passano da un proposito
all'altro o neppure passano, ma si lasciano portare dal caso, come possono avere sicurezza e stabilità se sono incerti e
instabili? 8 Sono pochi quelli che decidono di sé e delle proprie cose a ragion veduta: gli altri, come gli oggetti che
galleggiano nei fiumi, non avanzano: vengono trasportati: alcuni sono trattenuti e spostati più lentamente da una corrente più
debole, altri trascinati con maggiore violenza, altri deposti vicino alla riva da una corrente meno forte, altri gettati in
mare dall'impeto delle acque. Dobbiamo, perciò stabilire che cosa vogliamo e perseverare nei nostri propositi.
9 È
arrivato il momento di pagare il mio debito. Posso riferirti una frase del tuo Epicuro e adempiere al vincolo di questa
lettera: "È penoso cominciare sempre la vita", oppure, se così il senso è più chiaro: "Vivono male quelle persone che
cominciano sempre a vivere." 10 "Perché?" chiedi; difatti questa frase necessita di una spiegazione. Perché la loro vita è
sempre incompleta; non può essere pronto alla morte chi proprio allora comincia a vivere. Dobbiamo fare in modo di aver vissuto
abbastanza. Ma questo non lo fa chi è intento proprio allora a tessere la trama della sua esistenza. 11 Non pensare che uomini
del genere siano pochi: sono quasi tutti così. Certi, poi, cominciano quando è tempo di smettere. Se ti pare strano, aggiungerò
una cosa che ti sembrerà ancora più strana: certi uomini finiscono di vivere ancora prima di cominciare. Stammi bene.
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