Locus erat castrorum editus et paulatim ab imo acclivis circiter passus mille. Huc magno cursu contenderunt, ut quam minimum spatii ad se colligendos armandosque Romanis daretur, exanimatique pervenerunt. Sabinus suos hortatus cupientibus signum dat. Impeditis hostibus propter ea quae ferebant onera, subito duabus portis eruptionem fieri iubet. Factum est opportunitate loci, hostium inscientia ac defatigatione, virtute militum et superiorum pugnarum exercitatione, ut ne primum quidem nostrorum impetum ferrent ac statim terga verterent. Quos integris viribus milites nostri consecuti magnum numerum eorum occiderunt; reliquos equites consectati paucos, qui ex fuga evaserant, reliquerunt. Sic uno tempore et de navali pugna Sabinus et de Sabini victoria Caesar est certior factus, civitatesque omnes se statim Titurio dediderunt. Nam ut ad bella suscipienda Gallorum alacer ac promptus est animus, sic mollis ac minime resistens ad calamitates ferendas mens eorum est.
Versione tradotta
La postazione degli accampamenti era rialzata e dal basso un poco in pendio circa mille passi. Qui di gran corsa si diressero perché ai Romani fosse data il minimo possibile di tempo per raccogliersi ed armarsi, e giunsero senza fiato. Sabino esortati i suoi dà il segnale a gente che lo desidera. Essendo i nemici impacciati per i pesi che portavano, subito ordina una sortita dalle due porte. Accadde che per il vantaggio della postazione, l’inesperienza e la fatica dei nemici, il coraggio dei soldati e l’esercizio delle precedenti battaglie, non sostennero neppure il primo assalto dei nostri e subito voltarono le spalle. I nostri soldati con energie fresche inseguitili, ne uccisero un gran numero; i cavalieri raggiunti gli altri, ne lasciarono pochi che si erano salvati con la fuga. Così nello stesso tempo da una parte Sabino fu informato della battaglia navale e Cesare della vittoria di Sabino, e tutte le nazioni subito si arresero a Titurio.
Davvero come l’animo dei Galli e svelto e pronto a dichiarare guerre, così il loro carattere è fiacco e per nulla resistente a sopportare le avversità.
- Letteratura Latina
- Libro 3
- Cesare
- De Bello Gallico