Ab urbe condita - Libro 3, Par. 32 - Studentville

Ab urbe condita - Libro 3, Par. 32

Ab externis bellis quietus annus fuit, quietior insequens P. Curiatio et Sex. Quinctilio consulibus, perpetuo

silentio tribunorum, quod primo legatorum qui Athenas ierant legumque peregrinarum exspectatio praebuit, dein duo simul mala

ingentia exorta, fames pestilentiaque, foeda homini, foeda pecori. Vastati agri sunt, urbs adsiduis exhausta funeribus; multae

et clarae lugubres domus. Flamen Quirinalis Ser. Cornelius mortuus, augur C. Horatius Puluillus, in cuius locum C. Veturium, eo

cupidius quia damnatus a plebe erat, augures legere. Mortuus consul Quinctilius, quattuor tribuni plebi. Multiplici clade

foedatus annus; ab hoste otium fuit. Inde consules C. Menenius P. Sestius Capitolinus. Neque eo anno quicquam belli externi

fuit: domi motus orti. Iam redierant legati cum Atticis legibus. Eo intentius instabant tribuni ut tandem scribendarum legum

initium fieret. Placet creari decemuiros sine prouocatione, et ne quis eo anno alius magistratus esset. Admiscerenturne plebeii

controuersia aliquamdiu fuit; postremo concessum patribus, modo ne lex Icilia de Auentino aliaeque sacratae leges

abrogarentur.

Versione tradotta

Se quell'anno non venne turbato da guerre con paesi stranieri, l'anno successivo -

sotto il consolato di Publio Curiazio e Sesto Quintilio - fu ancora più povero di conflitti per il lungo silenzio dei tribuni

dovuto innanzitutto all'attesa del ritorno dei legati che erano andati ad Atene e delle leggi straniere che essi avrebbero

portato con sé, e in secondo luogo per due atroci calamità abbattutesi contemporaneamente, cioè la fame e una pestilenza,

funesta tanto per gli uomini quanto per gli animali. Le campagne si spopolarono, mentre la città si svuota per i continui

funerali; molte famose famiglie erano in lutto. Morì il flàmine di Quirino Servio Cornelio e l'àugure Gaio Orazio Pulvillo,

al cui posto il collegio degli àuguri nominò con entusiamo Gaio Veturio perché era stato condannato per volere della plebe.

Morirono il console Quintilio e quattro tribuni della plebe. L'anno fu funestato da molte sciagure ma il nemico rimase

tranquillo. I consoli successivi furono Gaio Menenio e Publio Sestio Capitolino. Neppure quell'anno vi furono guerre con

paesi stranieri, ma scoppiarono disordini interni. Nel frattempo gli inviati erano tornati con le leggi dell'Attica. E

proprio per questo i tribuni insistevano con sempre maggiore accanimento affinché si arrivasse finalmente a una codificazione

scritta delle leggi. Si decise di nominare dei decemviri non soggetti al diritto d'appello e di non avere quell'anno

nessun altro magistrato al di fuori di loro. Se i plebei avessero dovuto o meno prendere parte alla cosa fu argomento a lungo

dibattuto. Alla fine ebbero la meglio i patrizi, a patto però che non venissero abrogate la legge Icilia riguardante

l'Aventino e le altre leggi sacrate.

Livio

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