Ab urbe condita - Libro 3, Par. 33 - Studentville

Ab urbe condita - Libro 3, Par. 33

Anno trecentensimo altero quam condita Roma erat iterum mutatur forma

ciuitatis, ab consulibus ad decemuiros, quemadmodum ab regibus ante ad consules uenerat, translato imperio. Minus insignis,

quia non diuturna, mutatio fuit. Laeta enim principia magistratus eius nimis luxuriauere; eo citius lapsa res est repetitumque

duobus uti mandaretur consulum nomen imperiumque. Decemuiri creati Ap. Claudius, T. Genucius, P. Sestius, L. Veturius, C.

Iulius, A. Manlius, P. Sulpicius, P. Curiatius, T. Romilius, Sp. Postumius. Claudio et Genucio, quia designati consules in eum

annum fuerant, pro honore honos redditus, et Sestio, alteri consulum prioris anni, quod eam rem collega inuito ad patres

rettulerat. His proximi habiti legati tres qui Athenas ierant, simul ut pro legatione tam longinqua praemio esset honos, simul

peritos legum peregrinarum ad condenda noua iura usui fore credebant. Suppleuere ceteri numerum. Graues quoque aetate electos

nouissimis suffragiis ferunt, quo minus ferociter aliorum scitis aduersarentur. Regimen totius magistratus penes Appium erat

fauore plebis, adeoque nouum sibi ingenium induerat ut plebicola repente omnisque aurae popularis captator euaderet pro truci

saeuoque insectatore plebis. Decimo die ius populo singuli reddebant. Eo die penes praefectum iuris fasces duodecim erant:

collegis nouem singuli accensi apparebant. Et in unica concordia inter ipsos, qui consensus priuatis interdum inutilis est,

summa aduersus alios aequitas erat. Moderationis eorum argumentum exemplo unius rei notasse satis erit. Cum sine prouocatione

creati essent, defosso cadauere domi apud P. Sestium, patriciae gentis uirum, inuento prolatoque in contionem, in re iuxta

manifesta atque atroci C. Iulius decemuir diem Sestio dixit et accusator ad populum exstitit, cuius rei iudex legitimus erat,

decessitque iure suo, ut demptum de ui magistratus populi libertati adiceret.

Versione tradotta

L'anno 302 dalla

fondazione segnò per Roma una nuova trasformazione dell'assetto costituzionale: il potere supremo passò dai consoli ai

decemviri, così come in precedenza era passato dai re ai consoli. Non si trattò di un cambiamento particolarmente significativo

perché fu di breve durata. Dopo un felice inizio tale magistratura conobbe degli eccessi e, di conseguenza, l'innovazione

tramontò rapidamente, ripristinando così l'uso di affidare a due uomini il titolo e l'autorità di consoli. Decemviri

furono eletti Appio Claudio, Tito Genucio, Publio Sestio, Tito Veturio, Gaio Giulio, Aulo Manlio, Publio Sulpicio, Publio

Curiazio, Tito Romilio e Spurio Postumio. A Claudio e a Genucio, dato che erano stati eletti consoli per quell'anno, la

carica venne assegnata come compensazione dell'altra. Sestio, uno dei consoli dell'anno precedente, ebbe invece la nomina

per aver portato l'iniziativa di fronte al senato nonostante l'opposizione del collega. Accanto a essi ebbero il

privilegio di questa magistratura i tre senatori inviati ad Atene: la loro nomina non era soltanto il riconoscimento per una

missione in terre tanto lontane, ma anche la garanzia che l'approfondimento delle leggi straniere maturato laggiù sarebbe

stato di grande utilità nell'elaborazione di un nuovo sistema giuridico. Gli altri quattro eletti servirono a completare il

numero. Si dice che le ultime nomine vennero affidate a uomini piuttosto anziani perché si opponessero con meno energia alle

misure proposte dagli altri. Grazie al favore della plebe, il collegio dei decemviri era praticamente guidato da Appio: egli

aveva mutato il suo carattere così nettamente che, dopo un passato da violento e inflessibile avversatore del popolo, da un

giorno all'altro divenne un fedele amico della plebe, attentissimo a captarne gli alterni umori. A turno, ogni dieci giorni,

ciascun magistrato amministrava la giustizia di fronte al popolo: in quel giorno, chi presiedeva la corte aveva diritto ai

dodici fasci, mentre a ciascuno dei suoi nove colleghi toccava un unico messo. Dalla singolare armonia tra loro - accordo che

talvolta non è di alcuna utilità per i privati cittadini - derivava la loro estrema equità nei confronti degli altri. A riprova

di questa moderazione, sarà sufficiente citare un unico esempio. Pur essendo stati eletti a una magistratura che non prevedeva

diritto d'appello, quando venne rinvenuto e portato di fronte all'assemblea un cadavere sepolto nella casa di Lucio

Sestio, un patrizio, data l'atrocità manifesta della cosa, il decemviro Gaio Giulio citò Sestio in giudizio, accusandolo di

fronte al popolo di un reato di cui era giudice legittimo, e rinunciò così a un suo diritto, che egli tolse al potere del

magistrato per accrescere la libertà del popolo.

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