Ab urbe condita - Libro 3, Par. 36 - Studentville

Ab urbe condita - Libro 3, Par. 36

Ille finis Appio alienae personae ferendae fuit. Suo iam inde uiuere ingenio coepit nouosque collegas, iam

priusquam inirent magistratum, in suos mores formare. Cottidie coibant remotis arbitris; inde impotentibus instructi consiliis,

quae secreto ab aliis coquebant, iam haud dissimulando superbiam, rari aditus, conloquentibus difficiles, ad idus Maias rem

perduxere. Idus tum Maiae sollemnes ineundis magistratibus erant. Inito igitur magistratu primum honoris diem denuntiatione

ingentis terroris insignem fecere. Nam cum ita priores decemuiri seruassent ut unus fasces haberet et hoc insigne regium in

orbem, suam cuiusque uicem, per omnes iret, subito omnes cum duodenis fascibus prodiere. Centum uiginti lictores forum

impleuerant et cum fascibus secures inligatas praeferebant; nec attinuisse demi securem, cum sine prouocatione creati essent,

interpretabantur. Decem regum species erat, multiplicatusque terror non infimis solum sed primoribus patrum, ratis caedis

causam ac principium quaeri, ut si quis memorem libertatis uocem aut in senatu aut in populo misisset statim uirgae securesque

etiam ad ceterorum metum expedirentur. Nam praeterquam quod in populo nihil erat praesidii sublata prouocatione, intercessionem

quoque consensu sustulerant, cum priores decemuiri appellatione collegae corrigi reddita ab se iura tulissent et quaedam, quae

sui iudicii uideri possent, ad populum reiecissent. Aliquamdiu aequatus inter omnes terror fuit; paulatim totus uertere in

plebem coepit; abstinebatur a patribus; in humiliores libidinose crudeliterque consulebatur. Hominum, non causarum toti erant,

ut apud quos gratia uim aequi haberet. Iudicia domi conflabant, pronuntiabant in foro. Si quis collegam appellasset, ab eo ad

quem uenerat ita discedebat ut paeniteret non prioris decreto stetisse. Opinio etiam sine auctore exierat non in praesentis

modo temporis eos iniuriam conspirasse, sed foedus clandestinum inter ipsos iure iurando ictum, ne comitia haberent perpetuoque

decemuiratu possessum semel obtinerent imperium.

Versione tradotta

Fu allora che Appio depose la maschera. Da quel momento in

poi ricominciò a essere se stesso e a plasmare a sua immagine e somiglianza i nuovi colleghi, ancor prima che entrassero in

carica. Si incontravano tutti i giorni lontano dagli sguardi indiscreti e mettevano a punto programmi spregiudicati che

maturavano in segreto. Ormai non cercavano nemmeno più di nascondere la loro arroganza, si lasciavano avvicinare di rado e

facevano i difficili con chi rivolgeva loro la parola: così continuarono fino alle Idi di maggio. In quel tempo le Idi di

maggio erano la data tradizionale per l'inizio delle magistrature. Così, appena assunto il potere, essi resero memorabile il

primo giorno di magistratura con un'iniziativa terribilmente minacciosa. Infatti, mentre i predecessori nel decemvirato si

erano attenuti con scrupolo alla disposizione secondo la quale soltanto un membro del collegio aveva diritto a portare i fasci

e questa insegna regale doveva passare a turno a ciascuno di loro, i nuovi eletti si presentarono all'improvviso in pubblico

ciascuno con dodici fasci. I 120 littori avevano invaso il foro brandendo davanti a sé le scuri tenute insieme dai fasci. I

decemviri spiegarono che non c'era nessuna ragione di rimuovere le scuri perché la magistratura cui erano stati nominati non

contemplava il diritto d'appello. Sembravano dieci re e ciò accrebbe il terrore non solo nei cittadini più umili, ma anche

nei membri più influenti del senato, i quali sospettavano che i decemviri stessero cercando qualche pretesto per procedere a

una strage: se qualcuno avesse osato, in senato o di fronte al popolo, intervenire in favore della libertà, verghe e scuri

sarebbero state sciolte, magari solo per intimorire il resto della gente. Il popolo non aveva più alcuna garanzia dopo la

soppressione del diritto d'appello; come se non bastasse, all'unanimità i decemviri eliminarono anche il diritto di

opposizione interna, mentre i predecessori avevano tollerato che le sentenze da loro emesse venissero modificate su richiesta

di un collega, accettando anche che talune cause, apparentemente di stretta competenza dei decemviri, venissero portate di

fronte al popolo. Per un certo periodo il terrore fu uguale per tutti. Poi, a poco a poco, cominciò a concentrarsi interamente

sulla plebe: i patrizi venivano lasciati in pace; i decemviri infierivano sui più umili con arbitraria crudeltà. Era tutta

questione di persone, non di cause, visto che per quegli individui, invece dell'equità, contava l'influenza esercitata

dal singolo. Manipolavano in privato le sentenze per poi andarle a pronunciare nel foro. Se qualcuno si appellava a uno di

loro, se ne veniva via da quello a cui si era rivolto, pentendosi di non aver accettato la sentenza del primo. Nel frattempo si

era anche diffusa una diceria di provenienza non accertata, secondo la quale i decemviri non si sarebbero limitati a concertare

un operato criminoso per la sola durata della carica, ma, grazie a un patto giurato in segreto, avrebbero anche deciso di non

tenere le elezioni e di conservare per sempre il potere conquistato una volta per tutte, protraendo così all'infinito il

decemvirato.

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