Circumspectare tum patriciorum uoltus plebeii et inde libertatis captare auram, unde seruitutem timendo
in eum statum rem publicam adduxerant. Primores patrum odisse decemuiros, odisse plebem; nec probare quae fierent, et credere
haud indignis accidere; auide ruendo ad libertatem in seruitutem elapsos iuuare nolle; cumulari quoque iniurias, ut taedio
praesentium consules duo tandem et status pristinus rerum in desiderium ueniant. Iam et processerat pars maior anni et duae
tabulae legum ad prioris anni decem tabulas erant adiectae, nec quicquam iam supererat, si eae quoque leges centuriatis
comitiis perlatae essent, cur eo magistratu rei publicae opus esset. Exspectabant quam mox consulibus creandis comitia
edicerentur; id modo plebes agitabat quonam modo tribuniciam potestatem, munimentum libertati, rem intermissam, repararent; cum
interim mentio comitiorum nulla fieri. Et decemuiri, qui primo tribunicios homines, quia id populare habebatur, circum se
ostentauerant plebi, patriciis iuuenibus saepserant latera. Eorum cateruae tribunalia obsederant; hi ferre agere plebem
plebisque res, cum fortuna, qua quidquid cupitum foret, potentioris esset. Et iam ne tergo quidem abstinebatur; uirgis caedi,
alii securi subici; et, ne gratuita crudelitas esset, bonorum donatio sequi domini supplicium. Hac mercede iuuentus nobilis
corrupta non modo non ire obuiam iniuriae, sed propalam licentiam suam malle quam omnium libertatem.
Versione tradotta
Allora i plebei cominciarono a studiare con circospezione i volti dei patrizi, cercando di captare un soffio di libertà
proprio in quella parte di cittadinanza che, per aver fatto loro balenare lo spettro della schiavitù, li aveva portati a
ridurre il paese in quello stato. I capi dell'aristocrazia odiavano sia i decemviri sia la plebe. Non approvavano certo
quello che si faceva, ma credevano anche che quel che accadeva la gente se lo meritasse. Non avevano alcuna intenzione di
aiutare quanti, lanciati in una corsa dissennata verso la libertà, erano invece scivolati nella schiavitù, non volevano nemmeno
aggiungere altri soprusi, nella speranza che il disgusto per la situazione facesse nascere il desiderio del ritorno ai due
consoli e allo stato delle cose di un tempo. L'anno era ormai quasi alla fine, alle dieci tavole dell'anno precedente se
n'erano aggiunte altre due, né c'era più alcun bisogno di considerare necessaria al paese quella magistratura, specie se
quelle stesse leggi venivano approvate dai comizi centuriati. Si viveva nell'attesa che venissero indette le elezioni dei
consoli. La plebe invece aveva un solo pensiero: trovare il modo di ristabilire l'autorità dei tribuni, che era la vera
roccaforte della sua libertà e che in quel periodo era sospesa. Nel frattempo non si faceva alcun accenno a possibili elezioni.
E i decemviri, che all'inizio - per la popolarità di un simile gesto - si erano fatti vedere dalla plebe in compagnia di ex
-tribuni, ora si circondavano di giovani patrizi le cui bande stazionavano di fronte ai tribunali. Trattavano con impudenza la
plebe e ne saccheggiavano le proprietà, visto che era sempre il più forte ad avere ragione, qualunque capriccio gli fosse
passato per la testa. Ormai non avevano più rispetto nemmeno per le persone: si frustava e persino si decapitava. Perché poi la
crudeltà non fosse fine a se stessa, all'esecuzione del proprietario seguiva la confisca dei beni. Corrotti da questi
allettamenti, i giovani nobili non solo non si opponevano ai soprusi, ma dimostravano di preferire la propria sfrenatezza alla
libertà di tutti.
- Letteratura Latina
- Ab urbe condita
- Livio
- Ab urbe condita