Ab urbe condita, Libro 3, Par. 37 - Studentville

Ab urbe condita, Libro 3, Par. 37

Circumspectare tum patriciorum uoltus plebeii et inde libertatis captare auram, unde seruitutem timendo

in eum statum rem publicam adduxerant. Primores patrum odisse decemuiros, odisse plebem; nec probare quae fierent, et credere

haud indignis accidere; auide ruendo ad libertatem in seruitutem elapsos iuuare nolle; cumulari quoque iniurias, ut taedio

praesentium consules duo tandem et status pristinus rerum in desiderium ueniant. Iam et processerat pars maior anni et duae

tabulae legum ad prioris anni decem tabulas erant adiectae, nec quicquam iam supererat, si eae quoque leges centuriatis

comitiis perlatae essent, cur eo magistratu rei publicae opus esset. Exspectabant quam mox consulibus creandis comitia

edicerentur; id modo plebes agitabat quonam modo tribuniciam potestatem, munimentum libertati, rem intermissam, repararent; cum

interim mentio comitiorum nulla fieri. Et decemuiri, qui primo tribunicios homines, quia id populare habebatur, circum se

ostentauerant plebi, patriciis iuuenibus saepserant latera. Eorum cateruae tribunalia obsederant; hi ferre agere plebem

plebisque res, cum fortuna, qua quidquid cupitum foret, potentioris esset. Et iam ne tergo quidem abstinebatur; uirgis caedi,

alii securi subici; et, ne gratuita crudelitas esset, bonorum donatio sequi domini supplicium. Hac mercede iuuentus nobilis

corrupta non modo non ire obuiam iniuriae, sed propalam licentiam suam malle quam omnium libertatem.

Versione tradotta

Allora i plebei cominciarono a studiare con circospezione i volti dei patrizi, cercando di captare un soffio di libertà

proprio in quella parte di cittadinanza che, per aver fatto loro balenare lo spettro della schiavitù, li aveva portati a

ridurre il paese in quello stato. I capi dell'aristocrazia odiavano sia i decemviri sia la plebe. Non approvavano certo

quello che si faceva, ma credevano anche che quel che accadeva la gente se lo meritasse. Non avevano alcuna intenzione di

aiutare quanti, lanciati in una corsa dissennata verso la libertà, erano invece scivolati nella schiavitù, non volevano nemmeno

aggiungere altri soprusi, nella speranza che il disgusto per la situazione facesse nascere il desiderio del ritorno ai due

consoli e allo stato delle cose di un tempo. L'anno era ormai quasi alla fine, alle dieci tavole dell'anno precedente se

n'erano aggiunte altre due, né c'era più alcun bisogno di considerare necessaria al paese quella magistratura, specie se

quelle stesse leggi venivano approvate dai comizi centuriati. Si viveva nell'attesa che venissero indette le elezioni dei

consoli. La plebe invece aveva un solo pensiero: trovare il modo di ristabilire l'autorità dei tribuni, che era la vera

roccaforte della sua libertà e che in quel periodo era sospesa. Nel frattempo non si faceva alcun accenno a possibili elezioni.

E i decemviri, che all'inizio - per la popolarità di un simile gesto - si erano fatti vedere dalla plebe in compagnia di ex

-tribuni, ora si circondavano di giovani patrizi le cui bande stazionavano di fronte ai tribunali. Trattavano con impudenza la

plebe e ne saccheggiavano le proprietà, visto che era sempre il più forte ad avere ragione, qualunque capriccio gli fosse

passato per la testa. Ormai non avevano più rispetto nemmeno per le persone: si frustava e persino si decapitava. Perché poi la

crudeltà non fosse fine a se stessa, all'esecuzione del proprietario seguiva la confisca dei beni. Corrotti da questi

allettamenti, i giovani nobili non solo non si opponevano ai soprusi, ma dimostravano di preferire la propria sfrenatezza alla

libertà di tutti.

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