Paragrafo 1
P. Scipionem Marce fili eum qui primus Africanus appellatus
est dicere solitum scripsit Cato qui fuit eius fere aequalis numquam se minus otiosum esse quam cum otiosus nec minus solum
quam cum solus esset. Magnifica vero vox et magno viro ac sapiente digna; quae declarat illum et in otio de negotiis cogitare
et in solitudine secum loqui solitum ut neque cessaret umquam et interdum conloquio alterius non egeret. Ita duae res quae
languorem adferunt ceteris illum acuebant otium et solitudo. Vellem nobis hoc idem vere dicere liceret sed si minus imitatione
tantam ingenii praestantiam consequi possumus voluntate certe proxime accedimus. Nam et a re publica forensibusque negotiis
armis impiis vique prohibiti otium persequimur et ob eam causam urbe relicta rura peragrantes saepe soli
sumus.
Paragrafo 2
Sed nec hoc otium cum Africani otio nec haec solitudo cum illa
comparanda est. Ille enim requiescens a rei publicae pulcherrimis muneribus otium sibi sumebat aliquando et coetu hominum
frequentiaque interdum tamquam in portum se in solitudinem recipiebat nostrum autem otium negotii inopia non requiescendi
studio constitutum est. Extincto enim senatu deletisque iudiciis quid est quod dignum nobis aut in curia aut in foro agere
possimus?
Paragrafo 3
Ita qui in maxima celebritate atque in oculis civium quondam
vixerimus nunc fugientes conspectum sceleratorum quibus omnia redundant abdimus nos quantum licet et saepe soli sumus. Sed quia
sic ab hominibus doctis accepimus non solum ex malis eligere minima oportere sed etiam excerpere ex his ipsis si quid inesset
boni propterea et otio fruor non illo quidem quo debeat is qui quondam peperisset otium civitati nec eam solitudinem languere
patior quam mihi adfert necessitas non voluntas.
Paragrafo 4
Quamquam Africanus
maiorem laudem meo iudicio assequebatur. Nulla enim eius ingenii monumenta mandata litteris nullum opus otii nullum solitudinis
munus extat; ex quo intellegi debet illum mentis agitatione investigationeque earum rerum quas cogitando consequebatur nec
otiosum nec solum umquam fuisse; nos autem qui non tantum roboris habemus ut cogitatione tacita a solitudine abstrahamur ad
hanc scribendi operam omne studium curamque convertimus. Itaque plura brevi tempore eversa quam multis annis stante re publica
scripsimus.
Paragrafo 5
Sed cum tota philosophia mi Cicero frugifera et fructuosa nec
ulla pars eius inculta ac deserta sit tum nullus feracior in ea locus est nec uberior quam de officiis a quibus constanter
honesteque vivendi praecepta ducuntur. Quare quamquam a Cratippo nostro principe huius memoriae philosophorum haec te assidue
audire atque accipere confido tamen conducere arbitror talibus aures tuas vocibus undique circumsonare nec eas si fieri possit
quicquam aliud audire.
Versione tradotta
Catone, che gli
fu quasi coetaneo, scrisse che Publio Scipione, quello che per primo fu soprannominato l'Africano, era solito dire di non
essere mai meno ozioso di quando era ozioso, e mai meno solo di quando era solo. Parole veramente magnifiche e degne di un uomo
grande e saggio; esse dimostrano che nei periodi di riposo egli pensava agli affari e quando era solo era solito parlare con se
stesso, sicché non gli mancava mai un'occupazione e [talora] non aveva bisogno di colloquiare con un altro. Cosi queste due
situazioni, l'ozio e la solitudine, che arrecano agli altri fiacchezza, gli erano di stimolo. Vorrei che fosse lecito dire,
con verità, lo stesso di me; ma se posso raggiungere in minor grado una si grande elevatezza d'ingegno con l'imitazione,
certamente con l'intenzione mi ci avvicino molto di più. Infatti tenuto lontano dalla vita politica e dagli affari forensi
dalla violenza delle armi sacrileghe, sono costretto a vivere in ozio e per questo motivo, lasciata la città, vagando per i
campi spesso sono solo.
Ma né quest'ozio si può paragonare con quello
dell'Africano, né questa mia solitudine con quella; egli, per ricrearsi dagli importantissimi affari dello Stato, di quando in
quando si prendeva un periodo di riposo e dalle assemblee e dagli affollamenti cittadini si rifugiava talora nella solitudine
come in un porto; il mio ozio, invece, è causato non dal desiderio di riposo, ma dalla mancanza di affari. Sparito, ormai, il
senato e distrutti i tribunali, che cosa c'è che io possa fare, degno di me, nella curia e nel foro?
Pertanto io, che vissi un tempo assai frequentemente in pubblico e sotto
gli occhi dei cittadini, ora, fuggendo la vista degli sciagurati, dei quali è pieno ogni luogo, mi nascondo quanto è possibile
e spesso sono solo. Ma poiché ho imparato dai filosofi non solo che tra i mali conviene scegliere i minori, ma anche trarre da
essi stessi ciò che possono contenere di buono, perciò mi avvalgo di questa tranquillità - non quella, in verità, che dovrebbe
avere un uomo che un tempo ha procurato la tranquillità alla patria - e non mi lascio prostrare da quella solitudine che mi è
imposta dalla necessità, non dalla mia volontà.
Comunque l'Africano
conseguì, a mio parere, una gloria maggiore. Non resta alcuna testimonianza scritta del suo ingegno, nessuna opera elaborata
nel periodo di riposo, nessun frutto della sua solitudine. Da ciò si deve arguire che egli, per il suo fervore intellettuale e
per la ricerca di quelle (verità) che raggiungeva col pensiero, non fu mai ozioso e mai solo; io, invece, che non ho tanto
vigore da astrarmi dalla solitudine con una silenziosa meditazione, ho rivolto tutto il mio interesse e la mia attenzione a
quest'attività dello scrivere: perciò in poco tempo ho scritto più opere dopo la caduta della repubblica, che in molti anni,
quando essa era in piedi.
Ma benché tutta la filosofia, o mio Cicerone,
sia utile e fruttuosa, e nessuna sua parte sia incolta e trascurata, tuttavia nessuna sezione è più fertile e più ricca di
quella che si occupa dei doveri, dalla quale sono dedotti i precetti di una vita coerente ed onesta. Perciò, pur fiducioso che
tu assiduamente senta ed impari queste cose dal nostro Cratippo, il più insigne dei filosofi di quest'epoca, tuttavia penso
che sia utile che le tue orecchie risuonino d'ogni parte di tali voci, e, se possibile, non odano alcun'altra
tesi.
- Letteratura Latina
- De Officiis di Cicerone
- Cicerone