Paragrafo 16
Itaque iis omnes in quibus
est virtutis indoles commoventur. Nec vero cum duo Decii aut duo Scipiones fortes viri commemorantur aut cum Fabricius aut
Aristides iustus nominatur aut ab illis fortitudinis aut ab his iustitiae tamquam a sapiente petitur exemplum; nemo enim horum
sic sapiens ut sapientem volumus intellegi nec ii qui sapientes habiti et nominati M. Cato et C. Laelius sapientes fuerunt ne
illi quidem septem sed ex mediorum officiorum frequentia similitudinem quandam gerebant speciemque
sapientium.
Paragrafo 17
Quocirca nec id quod vere honestum est fas est cum utilis
repugnantia comparari nec id quod communiter appellamus honestum quod colitur ab iis qui bonos se viros haberi volunt cum
emolumentis umquam est comparandum tamque id honestum quod in nostram intellegentiam cadit tuendum conservandumque nobis est
quam illud quod proprie dicitur vereque est honestum sapientibus; aliter enim teneri non potest si quae ad virtutem est facta
progressio. Sed haec quidem de his qui conservatione officiorum existimantur boni.
Paragrafo
18
Qui autem omnia metiuntur emolumentis et commodis neque ea volunt praeponderari honestate ii solent in deliberando
honestum cum eo quod utile putant comparare boni viri non solent. Itaque existimo Panaetium cum dixerit homines solere in hac
comparatione dubitare hoc ipsum sensisse quod dixerit solere modo non etiam oportere. Etenim non modo pluris putare quod utile
videatur quam quod honestum sit sed etiam haec inter se comparare et in his addubitare turpissimum est. Quid ergo est quod non
numquam dubitationem adferre soleat considerandumque videatur? Credo si quando dubitatio accidit quale sit id de quo
consideretur.
Paragrafo 19
Saepe enim tempore fit ut quod turpe plerumque haberi
soleat inveniatur non esse turpe. Exempli causa ponatur aliquid quod pateat latius. Quod potest maius scelus quam non modo
hominem sed etiam familiarem hominem occidere? Num igitur se adstrinxit scelere si qui tyrannum occidit quamvis familiarem?
Populo quidem Romano non videtur qui ex omnibus praeclaris factis illud pulcherrimum existimat. Vicit ergo utilitas honestatem?
Immo vero honestas utilitatem secuta est. Itaque ut sine ullo errore diiudicare possimus si quando cum illo quod honestum
intellegimus pugnare id videbitur quod appellamus utile formula quaedam constituenda est; quam si sequemur in comparatione
rerum ab officio numquam recedemus.
Paragrafo 20
Erit autem haec formula Stoicorum
rationi disciplinaeque maxime consentanea; quam quidem his libris propterea sequimur quod quamquam et a veteribus Academicis et
a Peripateticis vestris qui quondam idem erant qui Academici quae honesta sunt anteponuntur iis quae videntur utilia tamen
splendidius haec ab eis disserentur quibus quicquid honestum est idem utile videtur nec utile quicquam quod non honestum quam
ab iis quibus et honestum aliquid non utile aut utile non honestum. Nobis autem nostra Academia magnam licentiam dat ut
quodcumque maxime probabile occurrat id nostro iure liceat defendere. Sed redeo ad formulam.
Versione tradotta
Perciò tutti coloro nei quali vi è una
naturale propensione alla virtù, ne sono attratti. Infatti, quando si ricordano come uomini coraggiosi i due Deci o i due
Scipioni, o quando si dà l'appellativo di 'giusto' a Fabrizio o ad Aristide, non si richiede un esempio da quelli di
fortezza o da questi di giustizia come da un sapiente; giacché nessuno di questi fu sapiente a tal punto da corrispondere al
nostro modello di sapiente, né quelli che furono ritenuti e chiamati sapienti, Marco Catone e Gaio Lelio, furono veramente
tali, e neppure i famosi sette, ma dall'applicazione assidua dei doveri relativi avevano una certa somiglianza e apparenza di
sapienti.
Per questo non è lecito paragonare con ciò che si oppone
all'utile quanto è veramente onesto, e neppure quanto chiamiamo comunemente onesto, che è praticato da quelle persone che
vogliano esser ritenute oneste, si deve mai paragonare coi vantaggi materiali; si deve difendere e conservare da parte nostra
tanto quell'onesto che rientra nell'ambito della nostra intelligenza, quanto quello che è detto con proprietà e verità,
onesto da parte dei sapienti; altrimenti non è possibile conservare gli eventuali progressi compiuti sulla via della virtù. Ma
questi suggerimenti riguardano coloro che sono stimati buoni per l'adempimento continuo dei loro
doveri.
Coloro che, al contrario, misurano ogni cosa in base al guadagno
o al vantaggio personale e non vogliono che l'onestà abbia il sopravvento su ciò, sono soliti, nel prendere una decisione,
mettere a confronto l'onesto con ciò che ritengono utile, mentre gli uomini onesti non sono soliti farlo. Perciò ritengo che
Panezio, quando ha detto che gli uomini sono soliti esitare in questo confronto, abbia inteso proprio questo che ha detto, cioè
che 'sono soliti' solamente, e non anche 'debbono'. Infatti è oltremodo immorale non solo stimare di più ciò che sembra
utile di ciò che è onesto, ma anche paragonare questi concetti tra di loro ed avere dei dubbi in proposito. Ma che cos'è,
dunque, ciò che talvolta ci suole far dubitare e ci sembra degno di considerazione? Credo, se qualche volta sorge il dubbio,
che esso riguardi la natura delle cose su cui si riflette.
Spesso,
infatti, accade che, mutate le circostanze, ciò che siamo soliti stimare per lo più immorale, si trova che non è tale. Per
esempio, si ponga un caso che è suscettibile della più ampia applicazione. Quale delitto può essere più grande dell'uccidere
non solo un uomo, ma anche un intimo amico? Forse qualcuno si rende colpevole di un delitto, se uccide un tiranno, anche se suo
intimo amico? Ciò non sembra al popolo romano, che anzi considera quell'azione la più bella tra tutte le altre illustri.
L'utile, dunque, ha prevalso sull'onesto? No; anzi, l'utile ha seguito l'onesto. Perciò, per poter distinguere senza ombra
di errore, quando talora ci sembra che quanto chiamiamo utile contrasti con quanto riteniamo onesto, occorre stabilire una
norma tale da non allontanarci mai dall'onesto se noi l'applicheremo nel mettere a confronto le
azioni.
Questa norma sarà pienamente conforme alle teorie della
dottrina Stoica: e la seguiamo in questi libri per il fatto che, sebbene anche gli antichi Accademici e i vostri Peripatetici,
che una volta erano tutt'uno con gli Accademici, antepongano ciò che è onesto a ciò che sembra utile, tuttavia questi
argomenti sono trattati in maniera molto più elevata da quelli che identificano l'utile con l'onesto e negano che sia utile
ciò che non è onesto, anziché da quelli secondo i quali qualche cosa onesta non è utile e qualche cosa utile non è onesta.
Quanto a noi, la nostra Accademia ci dà ampie possibilità di difendere, a pieno diritto, qualsiasi tesi ci si presenti in sommo
grado probabile. Ma ritorno alla norma.
- Letteratura Latina
- De Officiis di Cicerone
- Cicerone