Paragrafo 21
Detrahere igitur alteri aliquid et hominem hominis incommodo suum commodum augere magis
est contra naturam quam mors quam paupertas quam dolor quam cetera quae possunt aut corpori accidere aut rebus externis. Nam
principio tollit convictum humanum et societatem. Si enim sic erimus adfecti ut propter suum quisque emolumentum spoliet aut
violet alterum disrumpi necesse est eam quae maxime est secundum naturam humani generis
societatem.
Paragrafo 22
Ut si unum quodque membrum sensum hunc haberet ut posse
putaret se valere si proximi membri valitudinem ad se traduxisset debilitari et interire totum corpus necesse esset sic si unus
quisque nostrum ad se rapiat commoda aliorum detrahatque quod cuique possit emolumenti sui gratia societas hominum et
communitas evertatur necesse est. Nam sibi ut quisque malit quod ad usum vitae pertineat quam alteri adquirere concessum est
non repugnante natura illud natura non patitur ut aliorum spoliis nostras facultates copias opes
augeamus.
Paragrafo 23
Neque vero hoc solum natura id est iure gentium sed etiam
legibus populorum quibus in singulis civitatibus res publica continetur eodem modo constitutum est ut non liceat sui commodi
causa nocere alteri. Hoc enim spectant leges hoc volunt incolumem esse civium coniunctionem; quam qui dirimunt eos morte
exsilio vinclis damno coercent. Atque hoc multo magis efficit ipsa naturae ratio quae est lex divina et humana; cui parere qui
velit (omnes autem parebunt qui secundum naturam volent vivere) numquam committet ut alienum appetat et id quod alteri
detraxerit sibi adsumat.
Paragrafo 24
Etenim multo magis est secundum naturam
excelsitas animi et magnitudo itemque comitas iustitia liberalitas quam voluptas quam vita quam divitiae; quae quidem
contemnere et pro nihilo ducere comparantem cum utilitate communi magni animi et excelsi est. [Detrahere autem de altero sui
commodi causa magis est contra naturam quam mors quam dolor quam cetera generis eiusdem.]
Paragrafo 25
Itemque magis est secundum naturam pro omnibus gentibus si fieri possit
conservandis aut iuvandis maximos labores molestiasque suscipere imitantem Herculem illum quem hominum fama beneficiorum memor
in concilio caelestium conlocavit quam vivere in solitudine non modo sine ullis molestiis sed etiam in maximis voluptatibus
abundantem omnibus copiis ut excellas etiam pulchritudine et viribus. Quocirca optimo quisque et splendidissimo ingenio longe
illam vitam huic anteponit. Ex quo efficitur hominem naturae oboedientem homini nocere non posse.
Versione tradotta
Dunque,
che un uomo sottragga qualcosa ad un altro e aumenti il proprio vantaggio con lo svantaggio di un altro è contro natura più
della morte, della povertà, del dolore e di tutti gli altri mali che possono accadere al corpo o ai beni esterni: ciò infatti
mina alle basi la convivenza umana e la società: [se infatti saremo così disposti da spogliare o violare un altro a causa del
suo guadagno, di necessità si disgrega quella che è soprattutto secondo natura, cioè il legame tra gli
uomini].
ome se ciascun membro (umano) avesse una tale sensibilità, da
pensare di poter star bene, coll'aver tratto a sé la salute del membro più vicino, sarebbe necessariamente indebolito e
perirebbe l'intero corpo, così, se ciascuno di noi si appropriasse dei profitti degli altri e sottraesse quanto gli fosse
possibile a ciascuno per il proprio guadagno, la società umana e la comunità necessariamente sarebbero sovvertite. Infatti che
ciascuno preferisca acquistare per sé ciò che riguarda l'uso della vita anziché per un altro, lo si è ammesso, poiché non si
oppone la natura; ma la natura non sopporta che con le spoglie degli altri aumentiamo le nostre sostanze, ricchezze e
potenza.
E d'altra parte questo non è stato stabilito solamente dalla
natura, cioè dal diritto delle genti, ma anche dalle leggi dei popoli, sulle quali si fonda lo Stato nelle singole città,
perché non sia permesso nuocere ad altri per il proprio vantaggio. A questo, infatti, mirano le leggi, questo è il loro scopo,
che sia salva ed integra l'unione dei cittadini, e puniscono coloro che la rompono con la morte, l'esilio, la prigione e le
multe. E questo principio è molto più un prodotto della stessa razionalità naturale, che è legge divina ed umana; colui che
volesse obbedirgli (in verità dovranno obbedire tutti gli uomini che vivono secondo natura) non si renderà mai colpevole di
desiderare la proprietà altrui e di prendere per sé ciò che abbia sottratto ad altri.
24
Infatti sono molto di più secondo natura l'elevatezza d'animo e la grandezza, ed ugualmente l'affabilità, la
giustizia, la generosità, che non il piacere, la vita e le ricchezze: è proprio di un animo grande ed elevato disprezzare
questi beni e ritenerli cose di nessun valore a confronto dell'utile comune. [Sottrarre, invece, ad un altro a causa del
proprio vantaggio è più contro natura della stessa morte, del dolore e delle altre calamità simili.]
Allo stesso modo è più secondo natura, per conservare ed aiutare - se
possibile - tutte le genti, sobbarcarsi le più grandi fatiche e disagi, ed imitare il famoso Ercole, che la fama degli uomini,
memore dei benefici ricevuti, collocò nel consesso degli dei; è molto meglio, dunque, tutto questo che vivere in solitudine non
solo senza alcun affanno, ma anche tra i più raffinati piaceri, ricchi di ogni sorta di beni, sì da eccellere anche in bellezza
ed in forza. Perciò ogni persona fornita di un'indole assai nobile e superiore, preferisce di gran lunga quella vita a questa;
da ciò si deduce che l'uomo che obbedisca alla natura non può nuocere ad un altro uomo.
- Letteratura Latina
- De Officiis di Cicerone
- Cicerone