De Officiis, Libro 3, Par. da 26 a 30 - Studentville

De Officiis, Libro 3, Par. da 26 a 30

Paragrafo 26
Deinde qui alterum violat ut ipse aliquid

commodi consequatur aut nihil existimat se facere contra naturam aut magis fugienda censet mortem paupertatem dolorem

amissionem etiam liberorum propinquorum amicorum quam facere cuiquam iniuriam. Si nihil existimat contra naturam fieri

hominibus violandis quid cum eo disseras qui omnino hominem ex homine tollat? Sin fugiendum id quidem censet sed multo illa

peiora mortem paupertatem dolorem errat in eo quod ullum aut corporis aut fortunae vitium vitiis animi gravius existimat. Ergo

unum debet esse omnibus propositum ut eadem sit utilitas uniuscuiusque et universorum; quam si ad se quisque rapiet dissolvetur

omnis humana consortio.

Paragrafo 27
Atque etiam si hoc natura praescribit ut homo

homini quicumque sit ob eam ipsam causam quod is homo sit consultum velit necesse est secundum eandem naturam omnium utilitatem

esse communem. Quod si ita est una continemur omnes et eadem lege naturae idque ipsum si ita est certe violare alterum naturae

lege prohibemur. Verum autem primum verum igitur extremum.

Paragrafo 28
Nam illud

quidem absurdum est quod quidam dicunt parenti se aut fratri nihil detracturos sui commodi causa aliam rationem esse civium

reliquorum. Hi sibi nihil iuris nullam societatem communis utilitatis causa statuunt esse cum civibus quae sententia omnem

societatem distrahit civitatis. Qui autem civium rationem dicunt habendam externorum negant ii dirimunt communem humani generis

societatem; qua sublata beneficentia liberalitas bonitas iustitia funditus tollitur; quae qui tollunt etiam adversus deos

immortales impii iudicandi sunt. Ab iis enim constitutam inter homines societatem evertunt cuius societatis artissimum vinculum

est magis arbitrari esse contra naturam hominem homini detrahere sui commodi causa quam omnia incommoda subire vel externa vel

corporis vel etiam ipsius animi. ~Iustitia enim una virtus omnium est domina et regina

virtutum.

Paragrafo 29
Forsitan quispiam dixerit: Nonne igitur sapiens si fame ipse

conficiatur abstulerit cibum alteri homini ad nullam rem utili? Minime vero: non enim mihi est vita mea utilior quam animi

talis affectio neminem ut violem commodi mei gratia. Quid? si Phalarim crudelem tyrannum et immanem vir bonus ne ipse frigore

conficiatur vestitu spoliare possit nonne faciat?

Paragrafo 30
Haec ad iudicandum sunt

facillima. Nam si quid ab homine ad nullam partem utili utilitatis tuae causa detraxeris inhumane feceris contraque naturae

legem sin autem is tu sis qui multam utilitatem rei publicae atque hominum societati si in vita remaneas adferre possis si quid

ob eam causam alteri detraxeris non sit reprehendendum. Sin autem id non sit eiusmodi suum cuique incommodum ferendum est

potius quam de alterius commodis detrahendum. Non igitur magis est contra naturam morbus aut egestas aut quid eiusmodi quam

detractio atque appetitio alieni sed communis utilitatis derelictio contra naturam est; est enim

iniusta.

Versione tradotta

Paragrafo

26
Inoltre colui che fa del male ad un altro per conseguire qualche vantaggio, o ritiene di non far niente contro

natura o giudica che si debbano piuttosto tenere a distanza la morte, la povertà, il dolore, la perdita anche dei figli, dei

parenti, degli amici, anziché recare offesa a qualcuno. Se crede di non compiere niente contro natura col far violenza agli

uomini, a che pro discutere con una persona che sopprime completamente l'umanità nell'uomo? Se invece pensa che si debba

evitare ciò, ma che siano molto peggiori i mali, come la morte, la povertà, il dolore, sbaglia in questo, che ritiene più gravi

dei difetti dell'animo quelli riguardanti il corpo o la fortuna.
Uno solo, dunque, deve essere lo scopo di tutti: che

coincida l'utile individuale con quello di tutti, in quanto se ciascuno se lo arrogherà, tutta la società umana andrà in

frantumi.

Paragrafo 27
E anche se la natura prescrive che l'uomo provveda ad un

altro uomo, qualunque esso sia, per il fatto stesso che è uomo, ne consegue necessariamente, secondo la stessa legge di natura,

che l'utilità di ogni individuo coincide con quella comune. E se le cose stanno così, noi tutti siamo regolati da un'unica e

medesima legge di natura, e se è proprio cosi, certamente la legge di natura ci proibisce di far violenza ai nostri

simili.

Paragrafo 28
Vera la premessa, vera, dunque, la conseguenza. Infatti è

certamente assurda quella frase che dicono alcuni, che essi non sottrarrebbero nulla al padre,o al fratello per il proprio

vantaggio, ma che diverso è il criterio da seguire nei riguardi degli altri cittadini. Costoro pensano di non avere alcun

vincolo giuridico o sociale, a causa dell'utile, con i propri concittadini, opinione, questa, che disintegra ogni società

umana. Coloro, poi, i quali affermano che si deve avere considerazione per i concittadini, ma non per i forestieri, spezzano il

comune vincolo sociale del genere umano, soppresso il quale, la beneficenza, la generosità, la bontà e la giustizia sono

sradicate sin dalle fondamenta; e coloro che distruggono queste virtù devono essere giudicati empi anche verso gli dei

immortali. Abbattono, infatti, proprio quella società stabilita dagli dei tra gli uomini, società il cui vincolo più saldo

consiste nel ritenere che sia più contro natura che l'uomo sottragga all'uomo per il proprio vantaggio, piuttosto che subisca

ogni danno o esterno o fisico o anche morale * * * che mancano di giustizia: infatti questa sola è la signora e la regina di

tutte le virtù.

Paragrafo 29
Forse qualcuno potrebbe dire: un sapiente, nel caso che

fosse oppresso dalla fame, non potrebbe sottrarre del cibo ad un altro uomo, che non gli è di alcuna utilità? [Nient'affatto,

perché la mia vita non è per me più utile di una tale disposizione dell'animo, e cioè di non far violenza ad alcuno per un mio

vantaggio personale.] E allora? Se un uomo onesto, per non morire di freddo, potesse spogliare del vestito Falaride, tiranno

crudele e disumano, forse che non lo farebbe?

Paragrafo 30
Per questi interrogativi è

assai facile trovare una risposta: infatti se tu avessi sottratto qualcosa ad un uomo che non è di alcuna utilità per il tuo

particolare vantaggio, avresti compiuto un'azione disumana e contraria alla legge di natura; se invece tu fossi tale da poter

apportare molto giovamento allo Stato e alla società umana, rimanendo in vita, se sottraessi ad un altro per quel motivo non

saresti da biasimare; ma se invece la motivazione non è di tal genere, ciascuno deve sopportare la propria situazione di

svantaggio piuttosto che sottrarre qualcosa dai vantaggi di un altro. Non sono, dunque, contro natura la malattia, la povertà o

altri mali simili, più che il sottrarre o il desiderare le cose altrui, ma è contro natura il trascurare l'utilità generale,

perché è ingiusto.

  • Letteratura Latina
  • De Officiis di Cicerone
  • Cicerone

Ti potrebbe interessare

Link copiato negli appunti