Paragrafo
31
Itaque lex ipsa naturae quae utilitatem hominum conservat et continet decernet profecto ut ab homine inerti atque
inutili ad sapientem bonum fortem virum transferantur res ad vivendum necessariae qui si occiderit multum de communi utilitate
detraxerit modo hoc ita faciat ut ne ipse de se bene existimans seseque diligens hanc causam habeat ad iniuriam. Ita semper
officio fungetur utilitati consulens hominum et ei quam saepe commemoro humanae
societati.
Paragrafo 32
Nam quod ad Phalarim attinet perfacile iudicium est. Nulla est
enim societas nobis cum tyrannis et potius summa distractio est neque est contra naturam spoliare eum si possis quem est
honestum necare atque hoc omne genus pestiferum atque impium ex hominum communitate exterminandum est. Etenim ut membra quaedam
amputantur si et ipsa sanguine et tamquam spiritu carere coeperunt et nocent reliquis partibus corporis sic ista in figura
hominis feritas et immanitas beluae a communi tamquam humanitate corporis segreganda est. Huius generis quaestiones sunt omnes
eae in quibus ex tempore officium exquiritur.
Paragrafo 33
Eiusmodi igitur credo res
Panaetium persecuturum fuisse nisi aliqui casus aut occupatio eius consilium peremisset. Ad quas ipsas consultationes ex
superioribus libris satis multa praecepta sunt quibus perspici possit quid sit propter turpitudinem fugiendum quid sit quod
idcirco fugiendum non sit quod omnino turpe non sit. Sed quoniam operi inchoato prope tamen absoluto tamquam fastigium
imponimus ut geometrae solent non omnia docere sed postulare ut quaedam sibi concedantur quo facilius quae volunt explicent sic
ego a te postulo mi Cicero ut mihi concedas si potes nihil praeter id quod honestum sit propter se esse expetendum. Sin hoc non
licet per Cratippum at illud certe dabis quod honestum sit id esse maxime propter se expetendum. Mihi utrumvis satis est et tum
hoc tum illud probabilius videtur nec praeterea quicquam probabile.
Paragrafo 34
Ac
primum in hoc Panaetius defendendus est quod non utilia cum honestis pugnare aliquando posse dixerit (neque enim ei fas erat)
sed ea quae viderentur utilia. Nihil vero utile quod non idem honestum nihil honestum quod non idem utile sit saepe testatur
negatque ullam pestem maiorem in vitam hominum invasisse quam eorum opinionem qui ista distraxerint. Itaque non ut aliquando
anteponeremus utilia honestis sed ut ea sine errore diiudicaremus si quando incidissent induxit eam quae videretur esse non
quae esset repugnantiam. Hanc igitur partem relictam explebimus nullis adminiculis sed ut dicitur Marte nostro. Neque enim
quicquam est de hac parte post Panaetium explicatum quod quidem mihi probaretur de iis quae in manus meas
venerint.
Paragrafo 35
Cum igitur aliqua species utilitatis obiecta est commoveri
necesse est. Sed si cum animum attenderis turpitudinem videas adiunctam ei rei quae speciem utilitatis attulerit tum non
utilitas relinquenda est sed intellegendum ubi turpitudo sit ibi utilitatem esse non posse. Quod si nihil est tam contra
naturam quam turpitudo (recta enim et convenientia et constantia natura desiderat aspernaturque contraria) nihilque tam
secundum naturam quam utilitas certe in eadem re utilitas et turpitudo esse non potest. Itemque si ad honestatem nati sumus
eaque aut sola expetenda est ut Zenoni visum est aut certe omni pondere gravior habenda quam reliqua omnia quod Aristoteli
placet necesse est quod honestum sit id esse aut solum aut summum bonum quod autem bonum id certe utile ita quicquid honestum
id utile.
Versione tradotta
Così sarà la stessa legge naturale, che conserva e assicura il benessere generale, a
stabilire senza dubbio che i beni necessari alla vita siano passati dall'uomo incapace ed inutile all'uomo sapiente, buono e
coraggioso, che, morendo, sottrarrà molto all'utilità generale, purché costui, avendo un alto concetto di sé ed amando troppo
se stesso, non tragga da ciò il pretesto per compiere un'ingiustizia. Si compirà sempre il proprio dovere, provvedendo
all'utilità degli uomini ed a quella società umana, che io spesse volte ricordo.
32
Per ciò che riguarda, difatti, l'esempio di Falaride, la risposta è assai facile; non sussiste per noi alcun
rapporto sociale coi tiranni; piuttosto vi è un estremo distacco; non è contro natura - se è possibile - spogliare dei suoi
beni colui che è addirittura onesto uccidere, e tutto questo genere pestifero ed empio deve essere sterminato dalla comunità
umana. Infatti come si amputano certe membra, se esse cominciano a mancare di sangue e quasi di vita e nuocciono alle altre
parti del corpo, cosi questa belva feroce e selvaggia dall'aspetto d'uomo deve essere allontanata, per cosi dire, dal corpo
comune dell'umanità. Di tal genere sono tutte quelle questioni, nelle quali si studia il dovere in rapporto alle
circostanze.
Io credo, dunque, che Panezio avrebbe trattato simili
questioni, se qualche evento o qualche occupazione non gli avessero impedito l'esecuzione di questo suo progetto. Per queste
stesse questioni dai libri precedenti si deducono numerosi consigli, in base ai quali si può distinguere quale azione sia da
evitare per la sua disonestà, e quale non si debba evitare proprio perché non è del tutto vergognosa. Ma poiché all'opera
incominciata e quasi portata a termine sto per porre, per così dire, il tetto, come i geometri sono soliti non dimostrare ogni
affermazione, ma chiedere che alcune siano loro concesse perché più facilmente possano spiegare il loro assunto, così io ti
chiedo, o mio Cicerone, di concedermi, se lo puoi, questo, che non si deve desiderare niente di per se stesso tranne ciò che è
onesto. Se invero ciò non ti è permesso, perché contrasta con le teorie di Cratippo, mi concederai sicuramente questo, che
l'onesto si deve desiderare soprattutto per se stesso. A me basta o l'uno o l'altro; ed ora questo ora quello mi pare più
probabile, ed inoltre non mi pare probabile alcun altro postulato.
In
primo luogo a questo proposito bisogna appoggiare Panezio, perché egli non ha affermato che l'utile possa contrastare talvolta
con l'onesto - e non gli era lecito dire ciò - ma che possono contrastare con l'onesto quelle cose che hanno l'apparenza
dell'utile. In verità spesso dichiara che non c'è niente di utile che non sia pure onesto, e niente di onesto che non sia
pure utile, e dice che nessun male ha colpito maggiormente la vita degli uomini che la dottrina di quanti hanno distinto questi
concetti. Perciò non per anteporre talvolta l'utile all'onesto, ma per giudicare, senza incorrere in errore, le cose utili -
nel caso che qualche volta ciò accadesse - introdusse nel suo discorso quel contrasto apparente, ma non reale. Esporrò, dunque,
quest'ultima parte, senza alcun aiuto, ma, come si dice, con le mie sole armi: infatti, dopo Panezio, non è stato formulato
nulla, intorno a questa parte, che possa ottenere il mio consenso tra gli scritti che sono capitati nelle mie
mani.
Quando, dunque, ci si presenta qualche cosa apparentemente utile,
inevitabilmente ne siamo impressionati; ma se, riflettendo, si vede la disonestà intrinsecamente legata a ciò che aveva
l'apparenza dell'utilità, allora non è l'utile che si deve abbandonare, ma si deve comprendere che non vi può essere utilità
là dove c'è la disonestà. Se non vi è niente tanto contro natura quanto la disonestà (la natura, infatti, richiede
rettitudine, armonia, coerenza e disprezza il contrario di queste qualità), e niente è tanto conforme a natura quanto l'utile;
ne consegue che dove c'è l'utile non può esserci la disonestà. Allo stesso modo, se siamo nati per l'onestà e quella sola
deve essere l'oggetto delle nostre aspirazioni - come sembrò a Zenone o almeno deve esser ritenuta più importante di ogni
altra cosa - secondo il pensiero di Aristotele -, necessariamente l'onesto o è il solo o è il sommo bene, e sicuramente ciò
che è onesto è utile, e così qualsiasi azione onesta è anche utile.
- Letteratura Latina
- De Officiis di Cicerone
- Cicerone