De Officiis, Libro 3, Par. da 36 a 40 - Studentville

De Officiis, Libro 3, Par. da 36 a 40

Paragrafo 36
Quare error hominum non proborum cum aliquid quod utile visum est arripuit id continuo

secernit ab honesto. Hinc sicae hinc venena hinc falsa testamenta nascuntur hinc furta peculatus expilationes direptionesque

sociorum et civium hinc opum nimiarum potentiae non ferendae postremo etiam in liberis civitatibus regnandi existunt

cupiditates quibus nihil nec taetrius nec foedius excogitari potest. Emolumenta enim rerum fallacibus iudiciis vident poenam

non dico legum quam saepe perrumpunt sed ipsius turpitudinis quae acerbissima est non

vident.

Paragrafo 37
Quam ob rem hoc quidem deliberantium genus pellatur e medio ( est

enim totum sceleratum et impium) qui deliberant utrum id sequantur quod honestum esse videant an se scientes scelere

contaminent; in ipsa enim dubitatione facinus inest etiamsi ad id non pervenerint. Ergo ea deliberanda omnino non sunt in

quibus est turpis ipsa deliberatio.

Paragrafo 38
Atque etiam ex omni deliberatione

celandi et occultandi spes opinioque removenda est; satis enim nobis si modo in philosophia aliquid profecimus persuasum esse

debet si omnes deos hominesque celare possimus nihil tamen avare nihil iniuste nihil libidinose nihil incontinenter esse

faciendum. Hinc ille Gyges inducitur a Platone qui cum terra discessisset magnis quibusdam imbribus descendit in illum hiatum

aeneumque equum ut ferunt fabulae animadvertit cuius in lateribus fores essent; quibus apertis corpus hominis mortui vidit

magnitudine invisitata anulumque aureum in digito; quem ut detraxit ipse induit (erat autem regius pastor) tum in concilium se

pastorum recepit. Ibi cum palam eius anuli ad palmam converterat a nullo videbatur ipse autem omnia videbat; idem rursus

videbatur cum in locum anulum inverterat. Itaque hac oportunitate anuli usus reginae stuprum intulit eaque adiutrice regem

dominum interemit sustulit quos obstare arbitrabatur nec in his eum facinoribus quisquam potuit videre. Sic repente anuli

beneficio rex exortus est Lydiae. Hunc igitur ipsum anulum si habeat sapiens nihil plus sibi licere putet peccare quam si non

haberet; honesta enim bonis viris non occulta quaeruntur.

Paragrafo 39
Atque hoc loco

philosophi quidam minime mali illi quidem sed non satis acuti fictam et commenticiam fabulam prolatam dicunt a Platone quasi

vero ille aut factum id esse aut fieri potuisse defendat. Haec est vis huius anuli et huius exempli: si nemo sciturus nemo ne

suspicaturus quidem sit cum aliquid divitiarum potentiae dominationis libidinis causa feceris si id diis hominibusque futurum

sit semper ignotum sisne facturus? Negant id fieri posse. Quamquam potest id quidem sed quaero quod negant posse id si posset

quidnam facerent. Urgent rustice sane. Negant enim posse et in eo perstant hoc verbum quid valeat non vident. Cum enim

quaerimus si celare possint quid facturi sint non quaerimus possintne celare sed tamquam tormenta quaedam adhibemus ut si

responderint se impunitate proposita facturos quod expediat facinorosos se esse fateantur si negent omnia turpia per se ipsa

fugienda esse concedant. Sed iam ad propositum revertamur.

Paragrafo 40
Incidunt

multae saepe causae quae conturbent animos utilitatis specie non cum hoc deliberetur relinquendane sit honestas propter

utilitatis magnitudinem (nam id quidem improbum est) sed illud possitne id quod utile videatur fieri non turpiter. Cum

Collatino collegae Brutus imperium abrogabat poterat videri facere id iniuste; fuerat enim in regibus expellendis socius Bruti

consiliorum et adiutor. Cum autem consilium hoc principes cepissent cognationem Superbi nomenque Tarquiniorum et memoriam regni

esse tollendam quod erat utile patriae consulere id erat ita honestum ut etiam ipsi Collatino placere deberet. Itaque utilitas

valuit propter honestatem sine qua ne utilitas quidem esse potuisset.

Versione tradotta

Paragrafo 36
Perciò questo è l'errore degli uomini non onesti, che, quando si impadroniscono di

qualche cosa che abbia l'apparenza dell'utile, subito la scindono dall'onesto. Di qui nascono i pugnali, i veleni, i falsi

testamenti, di qui i furti, i peculati, le spogliazioni e le depredazioni degli alleati e dei concittadini, di qui sorge la

cupidigia di eccessive ricchezze e di intollerabile potere e, infine, anche la bramosia di regnare nelle libere città, bramosia

di cui niente si può immaginare di più infame e deprecabile. Essi vedono, infatti, con il loro erroneo giudizio il guadagno, e

non il castigo, non dico quello delle leggi, che spesso riescono a spezzare, ma quello della stessa disonestà, che è assai

aspro.

Paragrafo 37
Si tolgano, perciò, di mezzo tutte queste persone - giacché sono

tutte scellerate ed empie - che si pongono il problema se seguire quello che vedono essere onesto o macchiarsi scientemente di

un delitto; nello stesso dubbio è insita la colpa, anche se essi non vi sono giunti. Non bisogna, dunque, decidere nemmeno su

argomenti il cui esame stesso è disonesto. Ugualmente in ogni decisione bisogna tener lontana la speranza e la convinzione di

potersi nascondere e celarsi. Dovremmo essere abbastanza convinti, se pure abbiamo fatto qualche progresso nello studio della

filosofia, che, pur potendo tenere all'oscuro tutti gli dei e gli uomini, ciò nonostante non dobbiamo compiere niente per

desiderio di guadagno, niente con ingiustizia, niente per passione o

smoderatezza.

Paragrafo 38
Di qui trae l'origine il noto aneddoto di Gige

introdotto da Platone: essendosi la terra spaccata per certe grandi piogge, Gige scese in quella voragine e scorse, come dicono

le leggende, un cavallo di bronzo, che aveva ai fianchi delle porte; dopo averle aperte scorse il corpo di un uomo morto di

grandezza mai vista, con un anello d'oro al dito; glielo tolse e se lo mise, poi si recò all'adunanza dei pastori (era,

intatti, pastore del re); lì, ogni volta che volgeva il castone dell'anello verso la palma della mano, diveniva invisibile a

tutti, mentre egli era in grado di veder tutto; ritornava nuovamente visibile quando rimetteva l'anello al suo posto. E così,

servendosi dei poteri concessigli dall'anello, fece violenza alla regina e col suo aiuto uccise il re suo padrone, tolse di

mezzo chi, a parer suo, gli si opponeva, e nessuno potè scorgerlo mentre compiva questi delitti; così, tutto ad un tratto,

grazie all'anello divenne re della Lidia. Se, dunque, il sapiente avesse questo stesso anello, penserebbe che non gli fosse

lecito peccare più che se non l'avesse; i galantuomini, difatti, cercano l'onestà, non la

segretezza.

Paragrafo 39
A questo proposito taluni filosofi, niente affatto mediocri,

ma non abbastanza acuti, affermano che Platone ha riferito un aneddoto falso ed immaginario, quasi che egli sostenesse che ciò

fosse avvenuto o potrebbe essere avvenuto. Ecco il significato di questo anello e di questo esempio: se nessuno dovesse venire

a saperlo e non dovesse neppure sospettarlo, tu, compiendo qualche azione per desiderio di ricchezza, di potenza, di dominio,

di piacere, lo faresti, se ciò fosse destinato a rimanere ignoto per sempre agli dei e agli uomini? Negano questa possibilità.

Non è assolutamente possibile, ma io domando che cosa farebbero se fosse possibile ciò che essi dicono impossibile. Insistono

in una maniera veramente da zotici; dicono, infatti, che non è possibile, rimangono su questa posizione e non scorgono il

significato di queste mie parole. Quando domandiamo, che cosa farebbero se lo potessero celare, non domandiamo se possano

celarlo, ma adoperiamo nei loro confronti - per così dire - degli strumenti di tortura, perché, se rispondessero che, sotto

assicurazione d'impunità, farebbero quanto loro conviene, ammettano implicitamente d'essere dei malfattori, se invece lo

negassero, ammettano che tutte le azioni turpi debbono essere evitate di per se stesse. Ma ritorniamo, ormai,

all'argomento.

Paragrafo 40
Si presentano spesso molte cause che turbano l'animo con

l'apparenza dell'utile, non quando ci si chiede se si debba abbandonare l'onestà per le dimensioni dell'utilità - giacché

questo è disonesto -, ma se si possa compiere in modo non disonesto ciò che sembra utile. Quando Bruto destituiva dalla sua

carica il collega Collatino, poteva sembrare che, cosi facendo, si comportasse ingiustamente, perché egli, al periodo della

cacciata della monarchia, era stato compagno di disegni e aiutante di Bruto. Ma poiché i capi presero la decisione di eliminare

i parenti del Superbo e persino il nome dei Tarquini insieme al ricordo dei regno, quello che era utile, cioè il provvedere al

bene della patria, era anche onesto, sì che Collatino stesso doveva approvarlo. E così l'utilità prevalse per la sua onestà,

in assenza della quale non sarebbe stata possibile l'esistenza della utilità stessa.

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