De Officiis, Libro 3, Par. da 51 a 55 - Studentville

De Officiis, Libro 3, Par. da 51 a 55

Paragrafo 51
In huiusmodi causis aliud Diogeni Babylonio videri solet magno et gravi Stoico aliud

Antipatro discipulo eius homini acutissimo; Antipatro omnia patefacienda ut ne quid omnino quod venditor norit emptor ignoret

Diogeni venditorem quatenus iure civili constitutum sit dicere vitia oportere cetera sine insidiis agere et quoniam vendat

velle quam optime vendere. “Advexi eui vendo meum non pluris quam ceteri fortasse etiam minoris cum maior est copia; cui fit

iniuria?”

Paragrafo 52
Exoritur Antipatri ratio ex altera parte: “Quid ais? tu cum

hominibus consulere debeas et servire humanae societati eaque lege natus sis et ea habeas principia naturae quibus parere et

quae sequi debeas ut utilitas tua communis sit utilitas vicissimque communis utilitas tua sit celabis homines quid iis adsit

commoditatis et copiae? Respondebit Diogenes fortasse sic: “Aliud est celare aliud tacere neque ego nunc te celo si tibi non

dico quae natura deorum sit qui sit finis bonorum quae tibi plus prodessent cognita quam tritici vilitas. Sed non quicquid tibi

audire utile est idem mihi dicere necesse est.”

Paragrafo 53
“Immo vero” inquiet ille

“necesse est si quidem meministi esse inter homines natura coniunctam societatem.” “Memini” inquiet ille “sed num ista societas

talis est ut nihil suum cuiusque sit? Quod si ita est ne vendendum quidem quicquam est sed donandum.”
Vides in hac tota

disceptatione non illud dici “quamvis hoc turpe sit tamen quoniam expedit faciam” sed ita expedire ut turpe non sit ex altera

autem parte ea re quia turpe sit non esse faciendum.

Paragrafo 54
Vendat aedes vir

bonus propter aliqua vitia quae ipse norit ceteri ignorent pestilentes sint et habeantur salubres ignoretur in omnibus

cubiculis apparere serpentes sint male materiatae et ruinosae sed hoc praeter dominum nemo sciat; quaero si haec emptoribus

venditor non dixerit aedesque vendiderit pluris multo. quam se venditurum putarit num id iniuste aut improbe fecerit? “Ille

vero” inquit Antipater. “Quid est enim aliud erranti viam non monstrare quod Athenis execrationibus publicis sanctum est si hoc

non est emptorem pati ruere et per errorem in maximam fraudem incurrere. Plus etiam est quam viam non monstrare; nam est

scientem in errorem alterum inducere.”

Paragrafo 55
Diogenes contra “Num te emere

coegit qui ne hortatus quidem est? Ille quod non placebat proscripsit tu quod placebat emisti. Quod si qui proscribunt villam

bonam beneque aedificatam non existimantur fefellisse etiam si illa nec bona est nec aedificata ratione multo minus qui domum

non laudarunt. Ubi enim iudicium emptoris est ibi fraus venditoris quae potest esse? Sin autem dictum non omne praestandum est

quod dictum non est id praestandum putas? Quid vero est stultius quam venditorem eius rei quam vendat vitia narrare? Quid autem

tam absurdum quam si domini iussu ita praeco praedicet: “6domum pestilentem vendo?”

Versione tradotta

Paragrafo 51
In casi simili diversa è l'opinione di Diogene di Babilonia, stoico importante e serio,

e di Antipatro, suo discepolo, uomo di straordinaria acutezza: secondo Antipatro bisogna dichiarare tutto, perché il compratore

non ignori nulla che sia noto al venditore; secondo Diogene occorre che il venditore riveli i difetti, limitatamente alle

prescrizioni del diritto civile, tratti il resto senza frode e, dal momento che vende, cerchi di vendere al prezzo più

vantaggioso. "Ho importato la merce, l'ho esposta, la vendo a un prezzo non maggiore degli altri, forse anche minore, poiché

ne ho una quantità più grande. A chi faccio torto? " Insorge dall'altra parte il ragionamento di Antipatro: 5

Paragrafo 52
"Che dici? Tu, che dovresti preoccuparti degli uomini e dedicarti alla

società umana, tu che sei nato sotto questa legge ed hai questi principi naturali, ai quali devi obbedire e conf ormarti, e

cioè che il tuo utile sia l'utile comune e per converso l'utile comune sia il tuo, tu nasconderai agli uomini il vantaggio e

l'abbondanza che si presentano loro?" Diogene risponderà, forse, così: "Una cosa è nascondere e un'altra tacere; e io non ti

nascondo, adesso, se non te lo dico, quale sia la natura degli dei, quale il sommo bene, cose che, una volta conosciute, ti

gioverebbero di più del sapere il basso prezzo dei grano. Ma non è necessario che io ti dica tutto ciò che a te è utile

ascoltare".

Paragrafo 53
"Anzi, [ríbatterà quello], è necessario, se pure ti ricordi

che tra gli uomini c'è, per natura, un vincolo sociale". "Me ne ricordo", dirà l'altro, "ma questa società è forse tale che

nulla appartenga più privatamente a ciascuno? Se cosi fosse, non bisognerebbe neppure vender nulla, ma donare". Puoi

constatare che in tutta questa discussione non si dice. "Benché ciò sia vergognoso, pure, dal momento che è utile, lo farò" ma

(da parte dell'uno) che è utile così da non essere vergognoso, da parte dell'altro che non si deve fare perché è immorale.

Paragrafo 54
Un galantuomo vende una casa per dei difetti a lui noti e ignoti

agli altri; la casa è malsana ma la si ritiene salubre, si ignora che in tutte le stanze saltano fuori dei serpenti, è

costruita con materiale cattivo ed è in sfacelo, ma tutto questo non lo sa nessuno, tranne il padrone; io chiedo: se il

venditore non dicesse questo ai compratori e vendesse la casa ad un prezzo molto più alto di quanto si sarebbe aspettato,

compirebbe un'azione ingiusta e disonesta? "Certo" dice Antipatro. "Che altro è il non indicare la via a chi sta vagando -

cosa punita in Atene con la pubblica esecrazione - se non questo, lasciare che il compratore agisca sconsideratamente e per

questo errore cada in una gravissima frode? E', anzi, di più che il non mostrare la strada, perché è indurre consapevolmente

un altro in errore ".

Paragrafo 55
E Diogene di rimando: "Ti ha costretto forse a

comprare, chi non ti ha neanche esortato a farlo? Quello l'ha messa in vendita, perché non gli piaceva, tu l'hai comprata,

perché ti piaceva. Se quanti mettono in vendita una villa come bella e ben costruita non vengono ritenuti frodatori, anche se

la villa non è né bella né ben costruita, molto meno dovrebbero esserlo considerati coloro che non hanno decantato i pregi

della casa. Quando, difatti, la decisione è lasciata al compratore, quale potrebbe essere la frode del venditore? Se, poi, non

bisogna mantenere tutto quello che è stato detto espressamente, pensi che si debba mantenere ciò che non è stato detto

espressamente? E che c'è, poi, di più sciocco del fatto che il venditore elenchi i difetti della sua merce, e che cosa di più

assurdo, se il banditore, per ordine del padrone, andasse gridando: vendo una casa malsana"?

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