Paragrafo 56
Sic ergo in quibusdam causis dubiis ex altera parte
defenditur honestas ex altera ita de utilitate dicitur ut id quod utile videatur non modo facere honestum sit sed etiam non
facere turpe. Haec est illa quae videtur utilium fieri cum honestis saepe dissensio. Quae diiudicanda sunt; non enim ut
quaereremus euimus sed ut explicaremus.
Paragrafo 57
Non igitur videtur nec
frumentarius ille Rhodios nec hic aedium venditor celare emptores debuisse. Neque enim id est celare quicquid reticeas sed cum
quod tu scias id ignorare emolumenti tui causa velis eos quorum intersit id scire. Hoc autem celandi genus quale sit et cuius
hominis quis non videt? Certe non aperti non simplicis non ingenui non iusti non viri boni versuti potius obscuri astuti
fallacis malitiosi callidi veteratoris vafri. Haec tot et alia plura nonne inutile est vitiorum subire nomina?
Paragrafo 58
Quod si vituperandi qui reticuerunt quid de iis existimandum est qui
orationis vanitatem adhibuerunt? C. Canius eques Romanus nec infacetus et satis litteratus cum se Syracusas otiandi ut ipse
dicere solebat non negotiandi causa contulisset dictitabat se hortulos aliquos emere velle quo invitare amicos et ubi se
oblectare sine interpellatoribus posset. Quod cum percrebuisset Pythius ei quidam qui argentariam faceret Syracusis venales
quidem se hortos non habere sed licere uti Canio si vellet ut suis et simul ad cenam hominem in hortos invitavit in posterum
diem. Cum ille promisisset tum Pythius qui esset ut argentarius apud omnes ordines gratiosus piscatores ad se convocavit et ab
iis petivit ut ante suos hortulos postridie piscarentur dixitque quid eos facere vellet. Ad cenam tempori venit Canius; opipare
a Pythio adparatum convivium cumbarum ante oculos multitudo pro se quisque quod ceperat adferebat; ante pedes Pythii pisces
abiciebantur.
Paragrafo 59
Tum Canius “quaeso” inquit “quid est hoc Pythi? tantumne
piscium? tantumne cumbarum?” Et ille: “Quid mirum?” inquit “hoc loco est Syracusis quidquid est piscium hic aquatio hac villa
isti carere non possunt.” Incensus Canius cupiditate contendit a Pythio ut venderet. Gravate ille primo. Quid multa? impetrat.
Emit homo cupidus et locuples tanti quanti Pythius voluit et emit instructos. Nomina facit negotium conficit. Invitat Canius
postridie familiares suos venit ipse mature scalmum nullum videt. Quaerit ex proximo vicino num feriae quaedam piscatorum
essent quod eos nullos videret. “Nullae quod sciam” ille “sed hic piscari nulli solent. Itaque heri mirabar quid
accidisset.”
Paragrafo 60
Stomachari Canius sed quid faceret? Nondum enim C. Aquilius
collega et familiaris meus protulerat de dolo malo formulas; in quibus ipsis cum ex eo quaereretur quid esset dolus malus
respondebat cum esset aliud simulatum aliud actum. Hoc quidem sane luculente ut ab homine perito definiendi. Ergo et Pythius et
omnes aliud agentes aliud simulantes perfidi improbi malitiosi. Nullum igitur eorum factum potest utile esse cum sit tot vitiis
inquinatum.
Versione tradotta
Così,
dunque, in taluni casi dubbi da una parte si difende l'onestà, dall'altra si parla dell'utile in modo tale che non solo è
onesto fare, ma anzi è vergognoso non fare quanto sembra utile. E' questo il conflitto che sembra sorgere frequentemente tra
l'utile e l'onesto. Bisogna risolvere questi casi, che abbiamo esposti non per porre domande, ma per poterli
spiegare.
Non sembra che né quel mercante di grano ai Rodiesi né questo
venditore della casa agli acquirenti avrebbero dovuto nascondere nulla. Nascondere non significa, difatti, tacere tutto ciò che
sai, ma volere che ignorino quello che tu sai, per tuo guadagno, quanti avrebbero interesse a saperlo. Chi non vede quale sia e
caratteristico di quale uomo questo modo di celare? Certo non è proprio di un uomo leale, schietto, nobile, giusto, buono, ma
piuttosto di un uomo scaltro, dissimulatore, astuto, ingannatore, malizioso, sagace, furbacchione ed abile. Che utilità c'è a
tirarsi addosso tanti ed altri ancor più numerosi appellativi di difetti?
58
E se è da biasimare chi tace, come devono esser giudicati quanti sono soliti servirsi di discorsi ingannevoli? Gaio
Genio, cavaliere romano, uomo non privo di spirito e abbastanza colto, essendosi recato a Siracusa per trascorrervi un periodo
di vacanza, come lui stesso era solito dire, e non per e oncludere af fari, andava dicendo di voler comprare una villetta dove
potesse invitare gli amici e divertirsi senza essere disturbato da importuni. Essendosi diffusa la notizia, un certo Pizio,
banchiere a Siracusa, gli disse che non aveva ville da vendere, ma che Canio poteva servirsi della sua, se voleva, come se gli
appartenesse, e contemporaneamente lo invitò a cena in villa per il giorno dopo. Avendogli Canio promesso di venire, Pizio che,
in qualità di banchiere, godeva credito presso tutte le categorie di persone, chiamò a sé dei pescatori, chiese loro di pescare
il giorno dopo di fronte alla sua villa, e disse quanto desiderava che essi facessero. Canio venne puntualmente per la cena; il
banchetto era stato imbandito puntualmente da Pizio, davanti agli occhi si presentava una moltitudine di barche e ogni
pescatore portava, a turno, ciò che aveva preso; i pesci venivano gettati ai piedi di Pizio. Allora Canio: "Di grazia" disse
"?"
E quello, disse "Tutti i pesci di Siracusa stanno qui, qui vengono a
rifornirsi d'acqua, non possono fare a meno di questa villa". Canio, preso dal desiderio, chiese insistentemente a Pizio che
gli vendesse la villa. Sulle prime quello faceva il difficile. Che motivo c'è di dilungarsi? Ottiene il suo scopo: quell'uomo
bramoso e ricco compra la villa al prezzo richiesto da Pizio e la compra con tutto l'arredamento, registra la vendita e
l'affare è concluso. Canio invita il giorno dopo i suoi amici; arriva per tempo, ma non vede neanche una barca. Chiese al
vicino più prossimo se ci fossero festività dei pescatori, dato che non ne vedeva nessuno. "A quanto ne so io, no" risponde
quello "ma qui, di solito, non viene a pescare nessuno; perciò ieri mi stupivo di quanto fosse
accaduto".
Canio montò in bestia, ma che avrebbe potuto fare? A quel
tempo Gaio Aquilio, mio amico e collega, non aveva ancora proposto le norme relative alla frode, in cui, essendogli chiesto che
cosa fosse la frode, rispondeva che essa si verifica quando si finge una cosa e se ne fa un'altra. Una definizione magnifica,
com'è naturale in un uomo esperto in definizioni. Così sia Pizio che tutti coloro, i quali fanno una cosa e ne simulano
un'altra, sono perfidi, malvagi, maligni. Nessuna loro azione può risultare utile dal momento che è viziata da tanti
difetti.
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- De Officiis di Cicerone
- Cicerone