De Officiis, Libro 3, Par. da 61 a 65 - Studentville

De Officiis, Libro 3, Par. da 61 a 65

Paragrafo 61
Quod si Aquiliana definitio vera est ex omni vita

simulatio dissimulatioque tollenda est. Ita nec ut emat melius nec ut vendat quicquam simulabit aut dissimulabit vir bonus.

Atque iste dolus malus et legibus erat vindicatus ut tutela duodecim tabulis circumscriptio adulescentium lege Plaetoria et

sine lege iudiciis in quibus additur ex fide bona. Reliquorum autem iudiciorum haec verba maxime excellunt: in arbitrio rei

uxoriae melivs aeqvivs in fiducia vt inter bonos bene agier. Quid ergo? aut in eo qvod melivs aeqvivs potest ulla pars inesse

fraudis? aut cum dicitur inter bonos bene agier quicquam agi dolose aut malitiose potest? Dolus autem malus in simulatione ut

ait Aquilius continetur. Tollendum est igitur ex rebus contrahendis omne mendacium. Non inlicitatorem venditor non qui contra

se liceatur emptor apponet. Uterque si ad eloquendum venerit non plus quam semel

eloquetur.

Paragrafo 62
Quintus quidem Scaevola Publi filius cum postulasset ut sibi

fundus cuius emptor erat semel indicaretur idque venditor ita fecisset dixit se pluris aestumare; addidit centum milia. Nemo

est qui hoc viri boni fuisse neget; sapientis negant ut si minoris quam potuisset vendidisset. Haec igitur est illa pernicies

quod alios bonos alios sapientes existimant. Ex quo Ennius “nequiquam sapere sapientem qui ipse sibi prodesse non quiret”. Vere

id quidem si quid esset prodesse mihi cum Ennio conveniret.

Paragrafo 63
Hecatonem

quidem Rhodium discipulum Panaetii video in iis libris quos de officio scripsit Q. Tuberoni dicere sapientis esse nihil contra

mores leges instituta facientem habere rationem rei familiaris. Neque enim solum nobis divites esse volumus sed liberis

propinquis amicis maximeque rei publicae. Singulorum enim facultates et copiae divitiae sunt civitatis. Huic Scaevolae factum

de quo paulo ante dixi placere nullo modo potest. Etenim omnino tantum se negat facturum compendii sui causa quod non

liceat.

Paragrafo 64
Huic nec laus magna tribuenda nec gratia est. Sed sive et

simulatio et dissimulatio dolus malus est perpaucae res sunt in quibus non dolus malus iste versetur sive vir bonus est is qui

prodest quibus potest nocet nemini certe istum virum bonum non facile reperimus. Numquam igitur est utile peccare quia semper

est turpe et quia semper est honestum virum bonum esse semper est utile.

Paragrafo

65
Ac de iure quidem praediorum sanctum apud nos est iure civili ut in iis vendendis vitia dicerentur quae nota essent

venditori. Nam cum ex duodecim tabulis satis esset ea praestari quae essent lingua nuncupata quae qui infitiatus esset dupli

poena subiret a iuris consultis etiam reticentiae poena est constituta; quicdquid enim esset in praedio vitii id statuerunt si

venditor sciret nisi nominatim dictum esset praestari oportere.

Versione tradotta

Paragrafo 61
Se è vera la definizione di Aquilio, bisogna bandire dalla vita intera la simulazione e

la dissimulazione; di conseguenza il galantuomo non simulerà o dissimulerà nulla né per comprare né per vendere meglio. Ma

questa frode cadeva anche sotto le sanzioni delle leggi (ad esempio la tutela incorreva nelle sanzioni delle dodici tavole, la

circonvenzione dei minorenni in quelle della legge Pletoria) e dei processi su reati non menzionati dalle leggi, in cui si

aggiunge la formula "secondo coscienza". Degli altri processi sono notevoli, in modo particolare, queste formule: in questioni

relative alla dote della moglie "più buono più equo", in materia concernente la cessione fiduciaria "come si dave agire tra

uomini onesti". E che, dunque? Forse nella formula "ciò che più buono più equo" può esserci frode? Oppure quando si dice "come

si deve agire tra uomini onesti", si può, compiere qualche cosa con l'inganno o la malizia? La frode, come dice Aquilio,

consiste nella simulazione; bisogna, quindi, eliminare ogni menzogna nel contrarre impegni; il venditore non farà intervenire

un finto offerente che giuochi al rialzo. né il compratore uno che giuochi al ribasso. Entrambi, se si giungerà alla

dichiarazione del prezzo, non lo dovranno dichiarare più d'una volta.

Paragrafo

62
Quinto Scevola, figlio di Publio, avendo chiesto che di un fondo, che voleva acquistare, gli fosse indicato il

prezzo definitivo e avendo ciò fatto il venditore, affermò di valutarlo di più ed aggiunse centomila sesterzi. Non c'è nessuno

che dica che questo comportamento non sia stato proprio d'un galantuomo; negano, però, che sia stato proprio d'un uomo

saggio, come se avesse venduto a meno di quanto avrebbe potuto.
La rovina è proprio questa, il fatto che si fa distinzione

tra i buoni e i saggi. Donde Ennio:
"Invano è saggio quel saggio incapace di giovare a se stesso".
Questo sarebbe pure

vero, se fossi d'accordo con Ennio sul significato del giovare.

Paragrafo 63
Vedo

che Ecatone di Rodi, discepolo di Panezio, nei libri scritti 'Sul dovere' e da lui dedicati a Quinto Tuberone, dice:

proprio del sapiente curare il proprio patrimonio senza far nulla contro la morale, le leggi e le istituzioni. Non vogliamo,

difatti essere ricchi solo per noi, ma per i figli, i parenti, gli amici e soprattutto per lo Stato. I beni e gli averi dei

singoli costituiscono, infatti, le ricchezze della città".
A costui non può assolutamente piacere il gesto di Scevola, che

ho citato poco fa; difatti egli dice che non farebbe per suo profitto soltanto quello che non è permesso. A costui non bisogna

concedere né lode né riconoscenza.

Paragrafo 64
Comunque, sia che la simulazione

e la dissimulazione costituiscano frode, pochissime sono le azioni in cui non entri la frode; sia che uomo onesto sia colui che

giova a chi può e non nuoce a nessuno, è certo che non possiamo trovare facilmente questo uomo onesto. Non è mai utile, dunque,

cadere in fallo, perché è sempre disonesto, e, poiché è sempre onesto essere probi, è sempre

utile.

Paragrafo 65
Per quel che riguarda la regolamentazione dei beni immobili, il

nostro diritto civile sancisce che all'atto della vendita si dichiarino i difetti noti al venditore. Difatti, mentre per le

XII tavole era sufficiente rispondere delle cose esplicitamente dichiarate, e chi rinnegava la parola data era condannato a

pagare una multa del doppio, i giureconsulti stabilirono una pena anche per la reticenza. Stabilirono, infatti, che il

venditore deve rispondere di qualsiasi difetto si trovi in un bene immobile, se a lui è noto e non è stato espressamente

dichiarato.

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