Paragrafo 66
Ut cum in arce augurium augures acturi essent iussissentque Ti. Claudium Centumalum qui
aedes in Caelio monte habebat demoliri ea quorum altitudo officeret auspiciis Claudius proscripsit insulam [vendidit] emit P.
Calpurnius Lanarius. Huic ab auguribus illud idem denuntiatum est. Itaque Calpurnius cum demolitus esset cognossetque Claudium
aedes postea proscripsisse quam esset ab auguribus demoliri iussus arbitrum illum adegit QUICQUID SIBI DARE FACERE OPORTERET EX
FIDE BONA. M. Cato sententiam dixit huius nostri Catonis pater (ut enim ceteri ex patribus sic hic qui illud lumen progenuit ex
filio est nominandus)–is igitur iudex ita pronuntiavit cum in vendundo rem eam scisset et non pronuntiasset emptori damnum
praestari oportere.
Paragrafo 67
Ergo ad fidem bonam statuit pertinere notum esse
emptori vitium quod nosset venditor. Quod si recte iudicavit non recte frumentarius ille non recte aedium pestilentium venditor
tacuit. Sed huiusmodi reticentiae iure civili comprehendi non possunt; quae autem possunt diligenter tenentur. M. Marius
Gratidianus propinquus noster C. Sergio Oratae vendiderat aedes eas quas ab eodem ipse paucis ante annis emerat. Eae serviebant
sed hoc in mancipio Marius non dixerat; adducta res in iudicium est. Oratam Crassus Gratidianum defendebat Antonius. Ius
Crassus urgebat “quod vitii venditor non dixisset sciens id oportere praestari” aequitatem Antonius “quoniam id vitium ignotum
Sergio non fuisset qui illas aedes vendidisset nihil fuisse necesse dici nec eum esse deceptum qui id quod emerat quo iure
esset teneret”. Quorsus haec? Ut illud intellegas non placuisse maioribus nostris
astutos.
Paragrafo 68
Sed aliter leges aliter philosophi tollunt astutias; leges
quatenus manu tenere possunt philosophi quatenus ratione et intellegentia. Ratio ergo hoc postulat ne quid insidiose ne quid
simulate ne quid fallaciter. Suntne igitur insidiae tendere plagas etiam si excitaturus non sis nec agitaturus? Ipsae enim
ferae nullo insequente saepe incidunt. Sic tu aedes proscribas tabulam tamquam plagam ponas [domum propter vitia vendas] in eam
aliquis incurrat inprudens?
Paragrafo 69
Hoc quamquam video propter depravationem
consuetudinis neque more turpe haberi neque aut lege sanciri aut iure civili tamen naturae lege sanctum est. Societas est enim
(quod etsi saepe dictum est dicendum est tamen saepius) latissime quidem quae pateat omnium inter omnes interior eorum qui
eiusdem gentis sint propior eorum qui eiusdem civitatis. Itaque maiores aliud ius gentium aliud ius civile esse voluerunt quod
civile non idem continuo gentium quod autem gentium idem civile esse debet. Sed nos veri iuris germanaeque iustitiae solidam et
expressam effigiem nullam tenemus umbra et imaginibus utimur. Eas ipsas utinam sequeremur! feruntur enim ex optimis naturae et
veritatis exemplis.
Paragrafo 70
Nam quanti verba illa: UTI NE PROPTER TE FIDEMVE TUAM
CAPTUS FRAUDATUSVE SIM! quam illa aurea: UT INTER BONOS BENE AGIER OPORTET ET SINE FRAUDATIONE!Sed qui sint “boni” et quid sit
“bene agi” magna quaestio est. Q. quidem Scaevola pontifex maximus summam vim esse dicebat in omnibus iis arbitriis in quibus
adderetur EX FIDE BONA fideique bonae nomen existimabat manare latissime idque versari in tutelis societatibus fiduciis
mandatis rebus emptis venditis conductis locatis quibus vitae societas contineretur; in iis magni esse iudicis statuere
praesertim cum in plerisque essent iudicia contraria quid quemque cuique praestare oporteret.
Versione tradotta
Ad esempio, poiché gli àuguri dovevano
trarre gli auspici sulla rocca ed avevano ordinato a Tiberio Claudio Centumalo, che aveva una casa sul Celio, di abbattere
quelle parti che, con la loro altezza, erano di ostacolo agli auspici, Claudio mise in vendita il caseggiato, che fu acquistato
da Publio Calpurnio Lanario. Gli àuguri fecero a costui la stessa intimazione. Calpurnio la demolì e venne a sapere che Claudio
aveva messo in vendita la casa dopo che gli àuguri gli avevano intimato di abbatterla; lo costrinse, pertanto, a presentarsi
davanti ad un arbitro che decidesse "che cosa in buona coscienza gli si dovesse pagare o fare". Pronunziò la sentenza Marco
Catone, padre del nostro Catone (come gli altri dai padri, così questi, che generò quell'insigne personaggio, deve essere
designato dal nome del figlio). Quel giudice, dunque, emise questa sentenza: poiché nel vendere conosceva i difetti e li aveva
celati, doveva rispondere del danno presso il compratore.
Ritenne,
pertanto, che appartenesse alla "buona coscienza" la conoscenza, da parte dell'acquirente, dei difetti noti al venditore. Se
il suo giudizio è stato giusto, hanno avuto torto a tacere sia il mercante di grano che il venditore di quella casa malsana. Ma
reticenze di tale specie non possono essere abbracciate dal diritto civile; quante lo possono, sono perseguite rigorosamente.
Marco Mario Gratidiano, nostro parente, aveva venduto a Gaio Sergio Orata la stessa casa che aveva acquistato da lui pochi anni
prima. Essa era gravata di una servitù, ma nel contratto Mario non l'aveva dichiarato. La questione fu portata in tribunale:
Crasso difendeva Orata, Gratidiano era difeso da Antonio. Crasso invocava la legge, secondo cui " il venditore deve rispondere
di quei difetti che, pur essendo a lui noti, non sono stati da lui dichiarati", Antonio l'equità, "poiché quel difetto non era
ignoto a Sergio, che aveva già venduto quella casa, non era necessaria una dichiarazione, né era stato ingannato chi ben
conosceva la situazione giuridica di ciò che comprava". A quale scopo ti dico questo? Perché tu capisca che ai nostri padri non
piacevano i furbi.
Ma le leggi reprimono i raggiri in un modo, in un
altro i filosofi: le leggi, nei limiti in cui possono perseguirle legalmente, i filosofi, nei limiti in cui possono farlo con
la ragione e l'intelligenza. Orbene, la ragione esige che non si faccia nulla con tranelli, nulla con simulazione, nulla con
inganno. Costituisce allora un'insidia tendere le reti, anche se non hai intenzione di metterti a scovare la selvaggina o a
spingerla verso di esse? Che le fiere vanno a cadervi spesso da sole, senza che nessuno le insegua. Così tu potresti mettere in
vendita una casa, esporre un cartello, come se fosse una rete, [vendere la casa per i suoi difetti], e qualcuno potrebbe
incapparvi inavvertitamente?
Sebbene io veda che questo modo d'agire a
causa della decadenza dei costumi non è considerato immorale né è proibito dalla legge o dal diritto civile, tuttavia esso è
stato vietato dalla legge di natura. Difatti la società più ampia (anche se lo abbiamo detto spesso, lo si deve, tuttavia,
ripetere ancor più spesso) è quella che unisce tutti gli uomini fra loro, più ristretta quella tra uomini della stessa nazione,
ancor più limitata quella tra uomini della stessa città. Perciò gli antichi vollero che il diritto delle genti e quello civile
fossero differenti; il diritto civile non s'identifica senz'altro con quello delle genti, ma quello delle genti deve essere
anche civile. Noi non possediamo, però, alcuna immagine concretamente scolpita del vero diritto e della giustizia, sua sorella
germana; usufriamo di un'ombra e di una parvenza; volesse il cielo che almeno queste seguissimo! Provengono, infatti, dai
migliori esempi della natura e della verità.
Quanto valgono quelle parole
"che io non sia preso e ingannato per causa tua e della fiducia in te riposta"! Quanto quell'aureo detto "come tra persone
dabbene conviene agire bene e senza inganno"! Ma è grossa questione definire quali siano i buoni e che cosa significhi agire
bene. Quinto Scevola, pontefice massimo, diceva che hanno grandissima importanza tutti quei giudizi arbitrali, in cui
s'aggiunge la clausola "in buona coscienza", e credeva che il significato della 'buona coscienza' avesse una grandissima
estensione, e riguardasse le tutele, le associazioni, le procure, i mandati, le compravendita, gli appalti, le locazioni, in
cui consiste la vita sociale. In essi riteneva che fosse compito di un giudice valente stabilire di che cosa ciascuno deve
rispondere verso ciascuno, specialmente perché in parecchi casi vi sono delle controquerele.
- Letteratura Latina
- De Officiis di Cicerone
- Cicerone