Paragrafo 71
Quocirca astutiae tollendae sunt eaque malitia quae
vult illa quidem videri se esse prudentiam sed abest ab ea distatque plurimum; prudentia est enim locata in dilectu bonorum et
malorum malitia si omnia quae turpia sunt mala sunt mala bonis ponit ante. Nec vero in praediis solum ius civile ductum a
natura malitiam fraudemque vindicat sed etiam in mancipiorum venditione venditoris fraus omnis excluditur. Qui enim scire
debuit de sanitate de fuga de furtis praestat edicto aedilium. Heredum alia causa
est.
Paragrafo 72
Ex quo intellegitur quoniam iuris natura fons sit hoc secundum
naturam esse neminem id agere ut ex alterius praedetur inscitia. Nec ulla pernicies vitae maior inveniri potest quam in malitia
simulatio intellegentiae ex quo ista innumerabilia nascuntur ut utilia cum honestis pugnare videantur. Quotus enim quisque
reperietur qui impunitate et ignoratione omnium proposita abstinere possit iniuria.
Paragrafo
73
Periclitemur si placet et in iis quidem exemplis in quibus peccari volgus hominum fortasse non putet. Neque enim de
sicariis veneficis testamentariis furibus peculatoribus hoc loco disserendum est qui non verbis sunt et disputatione
philosophorum sed vinclis et carcere fatigandi sed haec consideremus quae faciunt ii qui habentur boni. L. Minuci Basili
locupletis hominis falsum testamentum quidam e Graecia Romam attulerunt. Quod quo facilius obtinerent scripserunt heredes secum
M. Crassum et Q. Hortensium homines eiusdem aetatis potentissimos. Qui cum illud falsum esse suspicarentur sibi autem nullius
essent conscii culpae alieni facinoris munusculum non repudiaverunt. Quid ergo? Satin est hoc ut non deliquisse videantur? Mihi
quidem non videtur quamquam alterum vivum amavi alterum non odi mortuum.
Paragrafo
74
Sed cum Basilus M. Satrium sororis filium nomen suum ferre voluisset eumque fecisset heredem (hunc dico patronum
agri Piceni et Sabini; o turpe notam temporum [nomen illorum]!) non erat aequum principes civis rem habere ad Satrium nihil
praeter nomen pervenire. Etenim si is qui non defendit iniuriam neque propulsat a suis cum potest iniuste facit ut in primo
libro disserui qualis habendus est is qui non modo non repellit sed etiam adiuvat iniuriam? Mihi quidem etiam verae hereditates
non honestae videntur si sunt malitiosis blanditiis officiorum non veritate sed simulatione quaesitae. Atqui in talibus rebus
aliud utile interdum aliud honestum videri solet. Falso; nam eadem utilitatis quae honestatis est
regula.
Paragrafo 75
Qui hoc non perviderit ab hoc nulla fraus aberit nullum facinus.
Sic enim cogitans “est istuc quidem honestum verum hoc expedit” res a natura copulatas audebit errore divellere qui fons est
fraudium maleficiorum scelerum omnium. Itaque si vir bonus habeat hanc vim ut si digitis concrepuerit possit in locupletium
testamenta nomen eius inrepere hac vi non utatur ne si exploratum quidem habeat id omnino neminem umquam suspicaturum. At dares
hanc vim M. Crasso ut digitorum percussione heres posset scriptus esse qui re vera non esset heres in foro mihi crede saltaret.
Homo autem iustus isque quem sentimus virum bonum nihil cuiquam quod in se transferat detrahet. Hoc qui admiratur is se quid
sit vir bonus nescire fateatur.
Versione tradotta
71
Bisogna, perciò, eliminare le furberie e quella malizia che vorrebbe sembrare prudenza, ma lontana da essa in modo
enorme: la prudenza è, difatti, fondata sulla scelta dei beni e dei mali; la malizia antepone il male al bene, se è vero che è
male tutto ciò che è immorale. E non solo nel caso dei beni immobili il diritto civile, che deriva dalla natura, punisce la
malafede e la frode, ma anche nella vendita degli schiavi è esclusa ogni frode da parte del venditore. Chi, infatti, dovesse
essere al corrente della salute, di una fuga, di ruberie, ne risponde in base all'editto degli
edili.
Diverso è il caso degli schiavi ottenuti per eredità. Da questo si
capisce che, essendo la natura fonte del diritto, è secondo natura che nessuno si comporti in modo da ricavare un bottino
dall'ignoranza altrui. Non si può trovare alcun danno per la vita maggiore della simulazione della malizia; da ciò derivano i
casi innumerevoli, in cui l'utile sembra essere in conflitto con l'onesto. Quanti, infatti, se ne troveranno capaci di
astenersi dal commettere un'ingiustizia, una volta che sia stata loro assicurata 1' impunità e l'ignoranza di tutti?
Facciamo la prova, se non hai nulla in contrario, e proprio basandoci su
quegli esempi, in cui gli uomini in generale non credono, forse, di essere in fallo. Non si deve trattare, qui dei sicari,
degli avvelenatori, dei falsificatori di testamenti, dei ladri, dei rei di peculato, che non devono essere domati con le parole
e le discussioni dei filosofi, ma con le catene e il carcere; consideriamo, invece, le azioni di coloro che godono la fama di
uomini dabbene. Taluni portarono dalla Grecia in Roma un falso testamento di Lucio Minuoio Basilo, uomo ricco; per poter
raggiungere con maggior facilità il loro scopo, vi misero come eredi, insieme a loro, Marco Crasso e Quinto Ortensio, due
uomini tra i più importanti in quel periodo; costoro, pur avendo sospettato che il testamento fosse falso, ma non essendo
complici di alcuna colpa, non rifiutarono il piccolo regalo che veniva loro dalla colpa altrui. Dunque, è sufficiente questo
perchè non sembrino colpevoli? In verità non mi pare, sebbene abbia amato l'uno, quando era in vita, e non nutra odio nei
confronti dell'altro, ora che è morto.
Ma avendo voluto Basilo dare il
suo nome a Marco Satrio, f iglio di sua sorella, e avendolo fatto erede (parlo di colui che fu patrono dell'agro piceno e
sabino), o vergogna dei tempi, [il nome di quelli,] non era giusto che due tra i principali cittadini avessero il patrimonio e
a Satrio non toccasse nulla, ad eccezione del nome! Se, come ho spiegato nel primo libro, colui che non si oppone
all'ingiustizia e non la tiene lontana dai suoi, pur potendolo, si comporta ingiustamente, che giudizio bisogna dare di colui
che non solo non allontana l'ingiustizia, ma anzi l'appoggia? A me, sinceramente, non sembrano oneste neanche le vere
eredità, se sono ottenute per mezzo di lusinghe piene di malizia, con devozione non sincera, ma simulata. Eppure in tali
argomenti una cosa suole sembrare l'utile, un'altra l'onesto. A torto, perché la norma dell'utile è la stessa
dell'onesto.
Se uno non si renderà conto di ciò, sarà capace di ogni
frode, di ogni delitto; ragionando, infatti, così: "Questo, in verità, è onesto, ma quest'altro è utile" arriverà al punto di
scindere due cose che la natura ha strettamente unito, con un errore che origina frodi, misfatti ed ogni genere di delitti.
Perciò se un galantuomo avesse una tale potenza da essere in grado di far inserire il suo nome nei testamenti con un
semplice schiocco delle dita, non se ne servirebbe, neppure se avesse la sicurezza che nessuno mai nutrirebbe sospetti; ma se
tu dessi questo potere a Marco Crasso, d'essere cioè, con un semplice schiocco delle dita, registrato come erede senza essere
realmente erede, credi a me, si metterebbe a danzare nel Foro. Invece l'uomo giusto e quello che intendiamo per uomo onesto,
non sottrarrebbe niente a nessuno per prenderselo per sé. Chi si meraviglia di ciò, ammette di non sapere che cosa sia un uomo
onesto.
- Letteratura Latina
- De Officiis di Cicerone
- Cicerone