De Officiis, Libro 3, Par. da 76 a 80 - Studentville

De Officiis, Libro 3, Par. da 76 a 80

Paragrafo 76
At vero si qui voluerit animi sui complicatam notionem evolvere iam se ipse doceat eum

virum bonum esse qui prosit quibus possit noceat nemini nisi lacessitus iniuria. Quid ergo? Hic non noceat qui quodam quasi

veneno perficiat ut veros heredes moveat in eorum locum ipse succedat? “Non igitur faciat” dixerit quis “quod utile sit quod

expediat?” Immo intellegat nihil nec expedire nec utile esse quod sit iniustum. Hoc qui non didicerit bonus vir esse non

poterit.

Paragrafo 77
C. Fimbriam consularem audiebam de patre nostro puer iudicem M.

Lutatio Pinthiae fuisse equiti Romano sane honesto cum is sponsionem fecisset ni vir bonvs esset. Itaque ei dixisse Fimbriam se

illam rem numquam iudicaturum ne aut spoliaret fama probatum hominem si contra iudicavisset aut statuisse videretur virum bonum

esse aliquem cum ea res innumerabilibus officiis et laudibus contineretur. Huic igitur viro bono quem Fimbria etiam non modo

Socrates noverat nullo modo videri potest quicquam esse utile quod non honestum sit. Itaque talis vir non modo facere sed ne

cogitare quidem quicquam audebit quod non audeat praedicare. Haec non turpe est dubitare philosophos quae ne rustici quidem

dubitent? a quibus natum est id quod iam contritum est vetustate proverbium. Cum enim fidem alicuius bonitatemque laudant

dignum esse dicunt quicum in tenebris mices. Hoc quam habet vim nisi illam nihil expedire quod non deceat etiam si id possis

nullo refellente optinere?

Paragrafo 78
Videsne hoc proverbio neque Gygi illi posse

veniam dari neque huic quem paulo ante fingebam digitorum percussione hereditates omnium posse converrere? Ut enim quod turpe

est id quamvis occultetur tamen honestum fieri nullo modo potest sic quod honestum non est id utile ut sit effici non potest

adversante et repugnante natura.

Paragrafo 79
At enim cum permagna praemia sunt est

causa peccandi. C. Marius cum a spe consulatus longe abesset et iam septimum annum post praeturam iaceret neque petiturus

umquam consulatum videretur Q. Metellum cuius legatus erat summum virum et civem cum ab eo imperatore suo Romam missus esset

apud populum Romanum criminatus est bellum illum ducere si se consulem fecissent brevi tempore aut vivum aut mortuum Iugurtham

se in potestatem populi Romani redacturum. Itaque factus est ille quidem consul sed a fide iustitiaque discessit qui optimum et

gravissimum civem cuius legatus et a quo missus esset in invidiam falso crimine

adduxerit.

Paragrafo 80
Ne noster quidem Gratidianus officio viri boni functus est tum

cum praetor esset collegiumque praetorium tribuni plebi adhibuissent ut res nummaria de communi sententia constitueretur;

iactabatur enim temporibus illis nummus sic ut nemo posset scire quid haberet. Conscripserunt communiter edictum cum poena

atque iudicio constitueruntque ut omnes simul in rostra post meridiem escenderent. Et ceteri quidem alius alio: Marius ab

subselliis in rostra recta idque quod communiter compositum fuerat solus edixit. Et ea res si quaeris ei magno honori fuit;

omnibus vicis statuae ad eas tus cerei. Quid multa? Nemo umquam multitudini fuit carior.

Versione tradotta

Paragrafo 76
Ma se qualcuno vorrà sviluppare il concetto involuto nel proprio animo,

si convincerà che è uomo onesto colui che giova a chi può e non nuoce ad alcuno, a meno che non sia stato provocato da

un'offesa. Dunque, non nuoce chi, con una specie di sortilegio, fa in modo d'allontanare i veri eredi per mettersi al posto

loro? "Non dovrà fare, dunque," dirà qualcuno "ciò che è utile, che gli giova?" Anzi capisca che nulla giova né è utile, se è

ingiusto. Chi non capirà ciò, non potrà essere un uomo onesto.

Paragrafo 77
Quand'ero

ragazzo sentivo raccontare da mio padre che l'ex-console Fimbria fu giudice in un processo riguardante Marco Lutazio Pinzia,

onestissimo cavaliere romano, che si era impegnato a pagare una somma se una sentenza da lui provocata non l'avesse dichiarato

galantuomo; Fimbria gli disse che non avrebbe mai fatto da giudice in quella questione, per non togliere la reputazione ad un

uomo stimato, in caso di un giudizio negativo, o per non sembrare di aver decretato che un uomo è onesto, dal momento che tale

qualità presuppone innumerevoli doveri e virtù. A quest'uomo buono, di cui aveva un'idea ben precisa non solo Socrate, ma

anche Fimbria, in nessun modo può sembrare utile una cosa che non sia onesta; di conseguenza un tale uomo non solo non oserà

fare, ma neppure pensare alcunché che non oserebbe dire pubblicamente. Non è vergognoso che i filosofi siano indecisi su ciò

che non suscita dubbi neanche nei contadini? Da essi derivò quel proverbio ormai logoro per l'uso: quando vogliono lodare la

lealtà e la bontà di qualcuno, dicono che è degno che si giuochi alla morra con lui al buio. Che significa questo, se non che

nulla è conveniente se non è lecito moralmente, anche se noi lo possiamo ottenere senza che alcuno ci smentisca?

Paragrafo 78
Non vedi che in base a questo proverbio non si può giustificare né quel

famoso Gige né costui che poco fa ho immaginato capace di accaparrarsi tutte le eredità con un semplice schiocco delle dita?

Come, difatti, ciò che è turpe non può in alcun modo diventare onesto, benché lo si nasconda, così ciò che onesto non è, non

può esser mutato in utile, se la natura vi si oppone e vi fa resistenza.

Paragrafo

79
Ma quando si prevedono grandi vantaggi, vi sarebbe un motivo per cadere in fallo. Gaio Mario era molto lontano

dalla speranza di divenir console e ormai da sette anni dopo la pretura era abbandonato da tutti né dava l'impressione che

avrebbe mai presentato la propria candidatura al consolato; inviato a Roma dal suo comandante Quinto Metallo, di cui era

luogotenente, uomo e cittadino di altissime qualità, lo accusò presso il popolo romano di tirare alle lunghe la guerra: se lo

avessero fatto console, avrebbe consegnato in poco tempo Giugurta, vivo o morto, in potere del popolo romano. E così egli fu

eletto console, ma si allontanò dalla lealtà e dalla giustizia, poiché con una falsa accusa suscitò odiosità nei confronti di

un cittadino ottimo e rispettabilissimo, del quale era luogotenente e dal quale era stato

inviato.

Paragrafo 80
Neppure il nostro parente Gratidiano adempì al dovere di un uomo

onesto, allorché egli era pretore e i tribuni della plebe avevano convocato il collegio dei pretori per regolare di comune

accordo la situazione monetaria; in quel periodo, difatti, il valore del nummo oscillava in modo tale che nessuno era in grado

di sapere quanto possedesse. Stesero di comune accordo un editto, in cui era indicata la pena e la relativa procedura

giudiziaria, e decisero di presentarsi tutti insieme sui Rostri il pomeriggio. Tutti gli altri andarono chi da una parte, chi

da un'altra; Mario si recò direttamente dagli scanni dei tribuni ai Rostri e da solo pubblicò quell'editto che era stato

redatto in comune. E questa cosa, se vuoi saperlo, gli tornò di grande onore; gli furono innalzate statue in tutti i rioni, e

dinanzi ad esse incenso e fiaccole di cera. A che serve dilungarsi? Nessuno fu mai più caro alla folla.

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