Paragrafo 11
Vibullius
eitus Corcyrae non minus necessarium esse existimavit de repentino adventu Caesaris Pompeium fieri certiorem uti ad id
consilium capere posset antequam de mandatis agi inciperetur atque ideo continuato nocte ac die itinere atque omnibus oppidis
mutatis ad celeritatem iumentis ad Pompeium contendit ut adesse Caesarem nuntiaret. Pompeius erat eo tempore in Candavia
iterque ex Macedonia in hiberna Apolloniam Dyrrachiumque habebat. Sed re nova perturbatus maioribus itineribus Apolloniam
petere coepit ne Caesar orae maritimae civitates occuparet. At ille eitis militibus eodem die Oricum proficiscitur. Quo cum
venisset L. Torquatus qui iussu Pompei oppido praeerat praesidiumque ibi Parthinorum habebat conatus portis clausis oppidum
defendere cum Graecos murum ascendere atque arma capere iuberet illi autem se contra imperium populi Romani pugnaturos esse
negarent oppidani autem etiam sua sponte Caesarem recipere conarentur desperatis omnibus auxiliis portas aperuit et se atque
oppidum Caesari dedidit incolumisque ab eo conservatus est.
Paragrafo 12
Recepto Caesar
Orico nulla interposita mora Apolloniam proficiscitur. Cuius adventu audito L. Staberius qui ibi praeerat aquam comportare in
arcem atque eam munire obsidesque ab Apolloniatibus exigere coepit. Illi vero daturos se negare neque portas consuli
praeclusuros neque sibi iudicium sumpturos contra atque omnis Italia populusque Romanus indicavisset. Quorum cognita voluntate
clam profugit Apollonia Staberius. Illi ad Caesarem legatos mittunt oppidoque recipiunt. Hos sequuntur Bullidenses Amantini et
reliquae finitimae civitates totaque Epiros et legatis ad Caesarem missis quae imperaret facturos
pollicentur.
Paragrafo 13
At Pompeius cognitis his rebus quae erant Orici atque
Apolloniae gestae Dyrrachio timens diurnis eo nocturnisque itineribus contendit. Simul Caesar appropinquare dicebatur tantusque
terror incidit eius exercitui quod properans noctem diei coniunxerat neque iter intermiserat ut paene omnes ex Epiro
finitimisque regionibus signa relinquerent complures arma proicerent ac fugae simile iter videretur. Sed cum prope Dyrrachium
Pompeius constitisset castraque metari iussisset perterrito etiam tum exercitu princeps Labienus procedit iuratque se eum non
deserturum eundemque casum subiturum quemcumque ei fortuna tribuisset. Hoc idem reliqui iurant legati; tribuni militum
centurionesque sequuntur atque idem omnis exercitus iurat. Caesar praeoccupato itinere ad Dyrrachium finem properandi facit
castraque ad flumen Apsum ponit in finibus Apolloniatium ut bene meritae civitates tutae essent praesidio ibique reliquarum ex
Italia legionum adventum exspectare et sub pellibus hiemare constituit. Hoc idem Pompeius fecit et trans flumen Apsum positis
castris eo copias omnes auxiliaque conduxit.
Paragrafo 14
Calenus legionibus
equitibusque Brundisii in naves impositis ut erat praeceptum a Caesare quantum navium facultatem habebat naves solvit paulumque
a portu progressus litteras a Caesare accipit quibus est certior factus portus litoraque omnia classibus adversariorum teneri.
Quo cognito se in portum recipit navesque omnes revocat. Una ex his quae perseveravit neque imperio Caleni obtemperavit quod
erat sine militibus privatoque consilio administrabatur delata Oricum atque a Bibulo expugnata est; qui de servis liberisque
omnibus ad impuberes supplicium sumit et ad unum interficit. Ita exiguo tempore magnoque casu totius exercitus salus
constitit.
Paragrafo 15
Bibulus ut supra demonstratum est erat cum classe ad Oricum et
sicuti mari portibusque Caesarem prohibebat ita ipse omni terra earum regionum prohibebatur; praesidiis enim dispositis omnia
litora a Caesare tenebantur neque lignandi atque aquandi neque naves ad terram religandi potestas fiebat. Erat res in magna
difficultate summisque angustiis rerum necessariarum premebantur adeo ut cogerentur sicuti reliquum commeatum ita ligna atque
aquam Corcyra navibus onerariis supportare; atque etiam uno tempore accidit ut difficilioribus usi tempestatibus ex pellibus
quibus erant tectae naves nocturnum excipere rorem cogerentur; quas tamen difficultates patienter atque aequo animo ferebant
neque sibi nudanda litora et relinquendos portus existimabant. Sed cum essent in quibus demonstravi angustiis ac se Libo cum
Bibulo coniunxisset loquuntur ambo ex navibus cum M. Acilio et Statio Murco legatis; quorum alter oppidi muris alter praesidiis
terrestribus praeerat: velle se de maximis rebus cum Caesare loqui si sibi eius rei facultas detur. Huc addunt pauca rei
confirmandae causa ut de compositione acturi viderentur. Interim postulant ut sint indutiae atque ab eis impetrant. Magnum enim
quod afferebant videbatur et Caesarem id summe sciebant cupere et profectum aliquid Vibulli mandatis
existimabatur.
Versione tradotta
Nonostante gli fossero state affidate queste proposte, Vibullio ritenne non di meno
necessario informare Pompeo dell'improvviso arrivo di Cesare, affinché potesse prendere una decisione in merito prima che si
desse inizio alle trattative di cui egli era incaricato. Perciò, senza fermarsi né di giorno né di notte, cambiando cavalcatura
a ogni città per guadagnare tempo, andò incontro a Pompeo per annunziargli l'arrivo di Cesare. Pompeo si trovava in quel
momento in Candavia e, dalla Macedonia, si stava dirigendo agli accampamenti invernali di Apollonia e Durazzo. Turbato
dall'inattesa notizia, cominciò a puntare su Apollonia affrettando la marcia per impedire a Cesare di occupare le città
costiere. Ma Cesare, il giorno stesso dello sbarco, si era diretto verso Orico. Al suo arrivo, Lucio Torquato, per ordine di
Pompeo comandante della piazzaforte, dove teneva un presidio di Partini , chiuse le porte e tentò di difendere la città, ma
quando ordinò ai Greci di disporsi sulle mura e prendere le armi, questi si rifiutarono di combattere contro l'autorità
costituita del popolo romano, mentre di loro iniziativa anche gli abitanti premevano perché Cesare venisse accolto. Vedendo che
non poteva aspettarsi nessun aiuto, Torquato apri le porte, consegnando se stesso e la città a Cesare, che lo lasciò
incolume.
Capitolata Orico, Cesare si dirige senza alcun indugio ad
Apollonia. Alla notizia del suo arrivo L. Staberio, che qui comandava, cominciò a fare portare acqua nella rocca e a
fortificarla e a richiedere ostaggi dagli abitanti di Apollonia. Ma questi dissero che non glieli avrebbero dati e che non
avevano intenzione di chiudere le porte al console né di assumere deliberazioni contrarie a quelle dell'intera Italia [il
popolo romano]. Conosciuto il loro parere, Staberio fugge di nascosto da Apollonia. Gli abitanti mandano ambasciatori a Cesare
e lo accolgono in città. Seguono il loro esempio gli abitanti di Billide, di Amanzia e le altre città vicine e tutto l'Epiro;
mandati ambasciatori a Cesare, promettono di eseguire i suoi ordini.
13
Pompeo, alla notizia di quanto era accaduto a Orico e ad Apollonia, temendo per Durazzo, vi si dirige marciando sia
di giorno che di notte. Nello stesso tempo, circolava la voce che Cesare si stava avvicinando, e l'esercito fu preso da un
tale spavento, visto anche che Pompeo, nella fretta, senza far distinzione tra il giorno e la notte, non faceva mai
interrompere la marcia, che quasi tutti i soldati dell'Epiro e delle regioni vicine disertavano, molti gettavano armi, e la
marcia aveva finito col somigliare a una fuga. Ma quando Pompeo si fu fermato vicino a Durazzo ed ebbe dato ordine di
delimitare il campo, mentre l'esercito continuava a mostrarsi atterrito, si fa avanti per primo Labieno e giura che non lo
avrebbe abbandonato ed avrebbe seguito la sua stessa sorte, qualunque fosse quella che la fortuna aveva in serbo per lui. Gli
altri legati prestano lo stesso giuramento, seguiti dai tribuni militari e dai centurioni e infine da tutto l'esercito.
Cesare, vedendosi prevenuto nella sua marcia su Durazzo, rallenta e si accampa presso il fiume Apso nel territorio di
Apollonia, per proteggere con fortini e posti di guardia le città che avevano meritato la sua gratitudine e stabilisce di
aspettare in quel luogo l'arrivo delle legioni dall'Italia e di passare l'inverno sotto le tende. Pompeo prende la stessa
decisione e, posto l'accampamento sull'altra riva dei fiume Apso, vi concentra tutte le truppe, regolari e
ausiliarie.
Caleno, imbarcate a Brindisi legioni e cavalleria, quel
tanto che le navi potevano contenerne, come era stato comandato da Cesare, salpa e, allontanatosi un po' dal porto, riceve una
lettera da Cesare che lo informa che i porti e tutto il litorale sono in mano alla flotta nemica. Venuto a conoscenza di ciò,
fa ritorno in porto e richiama tutte le navi. Una di esse, che continuò la navigazione e non obbedì al comando di Caleno,
poiché non c'erano soldati a bordo ed era comandata da un privato, spintasi fino a Orico, fu presa da Bibulo che sfogò il
proprio odio sui servi e su tutti gli uomini liberi, non risparmiando neppure i fanciulli, uccidendo tutti. Così da un breve
intervallo di tempo e da un caso accidentale dipese la salvezza di tutto
l'esercito.
Bibulo, come si è detto, si trovava con la flotta ad
Orico e, se da un lato impediva a Cesare l'accesso al mare e ai porti, gli era dall'altro impossibile l'accesso alla
terraferma in tutta la regione. Cesare aveva infatti disposto presidi lungo tutta la costa, occupandola, e non lasciava al
nemico la possibilità di far rifornimento di legname o d'acqua, e neppure di attraccare. La loro situazione era estremamente
difficile, privi com'erano anche dell'indispensabile, tant'è che erano costretti a farsi rifornire di vettovaglie, così come
di legna e d'acqua, da Corcira, con l'impiego di navi da carico. Accadde persino che, investiti da un maltempo
particolarmente violento, fossero costretti a raccogliere la rugiada notturna che si posava sulla copertura di pelle delle
navi. Eppure sopportavano tenacemente e con pazienza queste difficoltà, senza abbandonare la decisione di presidiare il
litorale e occupare i porti. Ma, trovandosi nelle difficoltà di cui si è parlato, essendosi Libone unito a Bibulo, ambedue
iniziarono a parlamentare dalle navi con i legati Manio Acilio e Stazio Murco che comandavano l'uno la difesa delle mura di
Orico e l'altro le truppe di terra: essi volevano avere un colloquio con Cesare, se gliene fosse stata concessa facoltà, su
questioni della massima importanza. Aggiungono poche parole per rendere più pressante la loro richiesta e far capire che
sarebbero stati disponibili a un accordo. Chiedono che nel frattempo si stabilisca una tregua, e la ottengono. La loro proposta
sembrava infatti importantissima e i legati sapevano quanto Cesare desiderasse questo tipo di soluzione; vi si vedeva inoltre
un qualche risultato della missione di Vibullio.
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- De Bello Civili di Giulio Cesare
- Cesare