De Bello Civili, Libro 3 - Paragrafi da 21 a 25 - Studentville

De Bello Civili, Libro 3 - Paragrafi da 21 a 25

Paragrafo 21
Cum resisteret Servilius consul reliquique

magistratus et minus opinione sua efficeret ad hominum excitanda studia sublata priore lege duas promulgavit: unam qua mercedes

habitationum annuas conductoribus donavit aliam tabularum novarum impetuque multitudinis in C. Trebonium facto et nonnullis

vulneratis eum de tribunali deturbavit. De quibus rebus Servilius consul ad senatum rettulit senatusque Caelium ab re publica

removendum censuit. Hoc decreto eum consul senatu prohibuit et contionari conantem de rostris deduxit. Ille ignominia et dolore

permotus palam se proficisci ad Caesarem simulavit; clam nuntiis ad Milonem missis qui Clodio interfecto eo nomine erat

damnatus atque eo in Italiam evocato quod magnis muneribus datis gladiatoriae familiae reliquias habebat sibi coniiunxit atque

eum in Thurinum ad sollicitandos pastores praemisit. Ipse cum Casilinum venisset unoque tempore signa eius militaria atque arma

Capuae essent comprensa et familia Neapoli visa quae proditionem oppidi appararet patefactis consiliis exclusus Capua et

periculum veritus quod conventus arma ceperat atque eum hostis loco habendum existimabat consilio destitit atque eo itinere

sese avertit.

Paragrafo 22
Interim Milo dimissis circum municipia litteris se ea quae

faceret iussu atque imperio facere Pompei quae mandata ad se per Vibullium delata essent quos ex acre alieno laborare

arbitrabatur sollicitabat. Apud quos cum proficere nihil posset quibusdam solutis ergastulis Cosam in agro Thurino oppugnare

coepit. Eo cum a Q. Pedio praetore cum legione . . . lapide ictus ex muro periit. Et Caelius profectus ut dictitabat ad

Caesarem pervenit Thurios. Ubi cum quosdam eius municipii sollicitaret equitibusque Caesaris Gallis atque Hispanis qui eo

praesidii causa missi erant pecuniam polliceretur ab his est interfectus. Ita magnarum initia rerum quae occupatione

magistratuum et temporum sollicitam Italiam habebant celerem et facilem exitum

habuerunt.

Paragrafo 23
Libo profectus ab Orico cum classe cui praeerat navium L

Brundisium venit insulamque quae contra portum Brundisinum est occupavit quod praestare arbitrabatur unum locum qua necessarius

nostris erat egressus quam omnia litora ac portus custodia clausos teneri. Hic repentino adventu naves onerarias quasdam nactus

incendit et unam frumento onustam abduxit magnumque nostris terrorem iniecit et noctu militibus ac sagittariis in terram eitis

praesidium equitum deiecit et adeo loci opportunitate profecit uti ad Pompeium litteras mitteret naves reliquas si vellet

subduci et refici iuberet: sua classe auxilia sese Caesaris prohibiturum.

Paragrafo

24
Erat eo tempore Antonius Brundisii; is virtute militum confisus scaphas navium magnarum circiter LX cratibus

pluteisque contexit eoque milites delectos imposuit atque eas in litore pluribus locis separatim disposuit navesque triremes

duas quas Brundisii faciendas curaverat per causam exercendorum remigum ad fauces portus prodire iussit. Has cum audacius

progressas Libo vidisset sperans intercipi posse quadriremes V ad eas misit. Quae cum navibus nostris appropinquassent nostri

veterani in portum refugiebant: illi studio incitati incautius sequebantur. Iam ex omnibus partibus subito Antonianae scaphae

signo dato se in hostes incitaverunt primoque impeto unam ex his quadriremibus cum remigibus defensoribusque suis ceperunt

reliquas turpiter refugere coegerunt. Ad hoc detrimentum accessit ut equitibus per oram maritimam ab Antonio dispositis aquari

prohiberentur. Qua necessitate et ignominia permotus Libo discessit a Brundisio obsessionemque nostrorum

omisit.

Paragrafo 25
Multi iam menses erant et hiems praecipitaverat neque Brundisio

naves legionesque ad Caesarem veniebant. Ac nonnullae eius rei praetermissae occasiones Caesari videbantur quod certi saepe

flaverant venti quibus necessario committendum existimabat. Quantoque eius amplius processerat temporis tanto erant alacriores

ad custodias qui classibus praeerant maioremque fiduciam prohibendi habebant et crebris Pompei litteris castigabantur quoniam

primo venientem Caesarem non prohibuissent ut reliquos eius exercitus impedirent duriusque cotidie tempus ad transportandum

lenioribus ventis exspectabant. Quibus rebus permotus Caesar Brundisium ad suos severius scripsit nacti idoneum ventum ne

occasionem navigandi dimitterent sive ad litora Apolloniatium [sive ad Labeatium] cursum dirigere atque eo naves eicere

possent. Haec a custodiis classium loca maxime vacabant quod se longius a portibus committere non

audebant.

Versione tradotta

Paragrafo 21
Di

fronte all'opposizione del console Servilio e degli altri magistratì e al fallimento delle proprie aspettative, per creare

tensione tra la gente, ritirata la prima proposta di legge, ne propose altre due: una per il condono di un anno di pigione a

chi abitasse case in fitto, e l'altra per la cancellazione dei debiti, provocando una sommossa contro Gaio Trebonio, che causò

molti feriti e lo scacciò dal suo tribunale. Il console Servilio fece una relazione dei fatti in senato e il senato decretò che

Celio doveva essere rimosso dalla sua carica. In seguito a questa delibera il console gli vietò l'ingresso in senato e, mentre

tentava di arringare il popolo, lo fece tirare giù dai rostri . Sconvolto dalla rabbia e dalla vergogna, Celio finse davanti a

tutti di partire per raggiungere Cesare, ma in segreto inviò dei messi a Milone, che, dopo l'assassinio di Clodio, era stato

condannato per quel reato, richiamandolo in Italia, e poiché, avendo dato in Passato grandi giochi, questi possedeva ancora un

resto dei suoi gladiatori, si unì a lui e lo mandò avanti nel territorio di Turi per sobillare i pastori. Lui invece si recò a

Cassino, ma proprio nello stesso momento furono prese a Capua le sue insegne militari e le armi e, a Napoli, furono scoperti i

suoi gladiatori che preparavano la defezione della città. Scoperta la congiura, gli fu vietato l'accesso a Capua e, intimorito

dal rischio che andava correndo, dal momento che l'associazione dei cittadini romani aveva preso le armi ed era dell'opinione

che lo si dovesse considerare come nemico pubblico, rinunciò al suo piano e prese un'altra

strada.

Paragrafo 22
Frattanto Milone, diramata ai vari municipi una lettera con la

quale comunicava di agire in ossequio al comando e al volere di Pompeo, trasmessigli da Vibullio, istigava coloro che pensava

essere oppressi dai debiti. Ma, non potendo con essi ottenere risultati, aprì alcuni ergastoli e iniziò l'attacco di Compsa

nell'agro Irpino. Qui, con una legione dal pretore Q. Pedio ..., fu colpito da una pietra scagliata dalle mura e morì. E

Celio, partito, come andava dicendo, alla volta di Cesare, giunse a Turi. Qui, mentre sobillava alcuni abitanti di quel

municipio e prometteva denaro a cavalieri di Cesare, galli e spagnoli, mandati là di guarnigione, venne ucciso da costoro. E

così la fase iniziale di avvenimenti importanti, che tenevano in ansia l'Italia perché i governanti erano occupati in altre

faccende e le circostanze suscitavano preoccupazione, ebbe una fine rapida e

facile.

Paragrafo 23
Libone, salpato da Orico con la sua flotta di cinquanta navi,

arrivò a Brindisi ed occupò l'isola situata di fronte al porto, ritenendo più conveniente tener sotto stretta sorveglianza

quell'unico punto, che costituiva per noi un passaggio obbligato, piuttosto che presidiare l'intero litorale e i porti.

Giunto improvvisamente, incendiò alcune navi da carico nelle quali si era imbattuto, ne catturò una carica di frumento, e gettò

nel terrore i nostri; fatti sbarcare nottetempo soldati ed arcieri, scalzò un nostro presidio di cavalleria e seppe a tal punto

profittare della posizione vantaggiosa, da inviare una lettera a Pompeo perché ordinasse pure, se voleva, di tirare in secco e

riparare le altre navi, visto che bastava lui con la sua flottá a bloccare gli aiuti di

Cesare.

Paragrafo 24
In quel tempo Antonio si trovava a Brindisi; confidando nel

valore dei soldati protesse con graticci e parapetti circa sessanta scialuppe delle navi grandi; vi imbarcò soldati scelti e le

dispose in parecchi luoghi separatamente lungo il litoraneo; ordinò alle due triremi, che aveva fatto costruire a Brindisi, di

portarsi verso l'imboccatura del porto col pretesto di esercitare i rematori. Quando Libone vide che esse erano avanzate con

troppa audacia, sperando di poterle sorprendere mandò contro di esse cinque quadriremi. Quando queste erano vicine alle nostre

navi, i nostri veterani si rifugiavano nel porto, quelli, eccitati dal loro ardore, con troppa imprudenza le inseguivano. Così,

a un segnale convenuto, all'improvviso da ogni parte le scialuppe di Antonio si lanciarono contro i nemici e, al primo

assalto, si impadronirono di una di queste quadriremi con i rematori e i difensori e costrinsero le altre a fuggire

vergognosamente. A questo insuccesso si aggiunse il fatto che i cavalieri disposti da Antonio lungo la costa impedivano ai

nemici l'approvvigionamento di acqua. Libone, indotto da questa necessità e dall'onta, si allontanò da Brindisi e tolse

l'assedio ai nostri.

Paragrafo 25
Erano già passati molti mesi e l'inverno

volgeva rapidamente al termine, senza che, da Brindisi, le navi con le legioni arrivassero da Cesare. Gli sembrava che si

fossero perdute molte occasioni di effettuare la traversata, perché avevano spesso soffiato venti costanti ai quali riteneva ci

si sarebbe dovuti senz'altro affidare. Più il tempo passava e più i comandanti della flotta intensificavano la sorveglianza,

quasi certi ormai di riuscire ad impedire il passaggio, e venivano frequentemente rimproverati per lettera da Pompeo affinché,

visto che non avevano saputo evitare il primo sbarco di Cesare, bloccassero almeno il resto del suo esercito, e aspettavano

ogni giorno che, calata la forza del vento, la traversata divenisse più difficoltosa. Spinto da queste considerazioni, Cesare

scrisse a Brindisi ai suoi una lettera più risentita, ordinando che, non appena si fosse levato un vento favorevole, non si

lasciassero sfuggire l'occasione di prendere il mare e far rotta verso la costa di Apollonia o verso quella dei Labeati e qui

attraccare. Queste erano le località meno sorvegliate dalla flotta, perché non osavano spingersi troppo lontano dai

porti.'

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