Marcus: Sequar igitur ut institui divinum illum virum quem quadam admiratione commotus saepius fortasse laudo quam necesse est.
Atticus: Platonem videlicet dicis.
Marcus: Istum ipsum Attice.
Atticus: Tu vero eum nec nimis valde umquam nec nimis saepe laudaveris. Nam hoc mihi etiam nostri illi qui neminem nisi suum laudari volunt concedunt ut eum arbitratu meo diligam.
Marcus: Bene hercle faciunt. Quid enim est elegantia tua dignius? Cuius et vita et oratio consecuta mihi videtur difficillimam illam societatem gravitatis cum humanitate.
Atticus: Sane gaudeo quod te interpellavi quoniam quidem tam praeclarum mihi dedisti iudicii tui testimonium. Sed perge ut coeperas.
Marcus: Laudemus igitur prius legem ipsam veris et propriis generis sui laudibus?
Atticus: Sane quidem sicut de religionum lege fecisti.
Versione tradotta
Marco: - Seguirò dunque, come ho incominciato, quell'autore quasi divino che io, mosso dall'ammirazione, cito forse più spesso di quanto sarebbe necessario.
Attico: - Vuoi dire Platone.
Marco: - E' appunto a lui, che mi riferisco, Attico.
Attico: - Eppure non viene citato mai abbastanza e né abbastanza spesso; infatti anche quei miei amici studiosi che non permettono mai di citare qualcuno se non è il loro maestro, mi consentono di amare il mio maestro come voglio.
Marco: - E fanno bene, per Ercole. Che c'è infatti di più degno della tua finezza? Il tuo stile di vita e di linguaggio mi sembra che sia riuscito a raggiungere quel difficilissimo equilibrio tra autorevolezza e gentilezza.
Attico: - Sono contento d'averti interrotto, dal momento che mi hai dato una così preziosa testimonianza del tuo senso critico. Ma continua quello che avevi iniziato.
Marco: - Facciamo allora precedere l'elogio della legge stessa citando i pregi ad essa connessi?
Attico: - Benissimo, come hai già fatto per la legge sul culto.
- Letteratura Latina
- Libro 3
- Cicerone
- De Legibus