Idque haud paulo est verius quam quod Platoni nostro placet. Qui musicorum cantibus ait mutatis mutari civitatum status: ego autem nobilium vita victuque mutato mores mutari civitatum puto. Quo perniciosius de re publica merentur vitiosi principes quod non solum vitia concipiunt ipsi sed ea infundunt in civitatem neque solum obsunt quod ipsi corrumpuntur sed etiam quod corrumpunt plusque exemplo quam peccato nocent. Atque haec lex dilatata in ordinem cunctum coangustari etiam potest: pauci enim atque admodum pauci honore et gloria amplificati vel corrumpere mores civitatis vel corrigere possunt. Sed haec et nunc satis et in illis libris tractata sunt diligentius. Quare ad reliqua veniamus.
Versione tradotta
E questo è molto più vero di quanto ritiene il nostro Platone. Egli afferma che le condizioni dello Stato mutano col mutare degli stili musicali; io invece penso che i costumi delle città cambino dopo che è cambiato il tenore di vita dei nobili. Per questo appunto i maggiori responsabili della rovina dello Stato sono i nobili corrotti, in quanto non soltanto nutrono in sé i propri vizi, ma li trasmettono ai cittadini, e sono di danno non soltanto per la loro stessa corruzione, ma anche perché essi corrompono, e nuocciono più con il cattivo esempio che con la loro colpa. E questa legge, estesa a tutta una categoria, può avere un'applicazione anche più ristretta; pochi infatti, molto pochi sono quelli che, ingranditisi per onori e per gloria, possono o corrompere o correggere i costumi dei cittadini. Ma di ciò si è detto abbastanza anche ora, e se ne è già trattato in altri libri in maniera più approfondita. Perciò passiamo al resto.
- De Legibus
- Libro 3
- Cicerone
- De Legibus