Eneide, Libro 3, traduzione vv. 121-146 - Studentville

Eneide, Libro 3, traduzione vv. 121-146

Fama volat pulsum regnis cessisse paternis
Idomenea ducem, desertaque litora

Cretae,
hoste vacare domum sedesque astare relictas.
linquimus Ortygiae portus pelagoque volamus
bacchatamque iugis

Naxon viridemque Donusam,
Olearon niveamque Paron sparsasque per aequor
Cycladas, et crebris legimus freta concita

terris.
nauticus exoritur vario certamine clamor:
hortantur socii Cretam proavosque petamus.
prosequitur surgens a

puppi ventus euntis,
et tandem antiquis Curetum adlabimur oris.
ergo avidus muros optatae molior urbis
Pergameamque

voco, et laetam cognomine gentem
hortor amare focos arcemque attollere tectis.
Iamque fere sicco subductae litore

puppes,
conubiis arvisque novis operata iuventus,
iura domosque dabam, subito cum tabida membris
corrupto caeli tractu

miserandaque venit
arboribusque satisque lues et letifer annus.
linquebant dulcis animas aut aegra trahebant

corpora; tum sterilis exurere Sirius agros,
arebant herbae et victum seges aegra negabat.
rursus ad oraclum Ortygiae

Phoebumque remenso
hortatur pater ire mari veniamque precari,
quam fessis finem rebus ferat, unde laborum
temptare

auxilium iubeat, quo vertere cursus.

Versione tradotta

Vola la fama che il capo Idomeneo cacciato sia partito

dai regni paterni e deserti i lidi di Creta,
la casa manca di nemico e le sedi lasciate aspettano.
Lasciamo i porti

di Ortigia e voliamo sul mare
e passiamo Nasso percorsa da Bacco sui gioghi e la verde Danusa,
Olearo e la nivea Paro e

le Cicladi sparse pel mare,
ed i flutti spinti da terre frequenti.
s’alza il grido marinaresco con vario scontro:
i

compagni esortano a cercare Creta e gli antenati.
Il vento sorgente da poppa asseconda i partenti,
e finalmente

accostiamo alle antiche spiagge dei Cureti.
Quindi avido costruisco le mura della città bramata
e la chiamo Pergamea ed

esorto il popolo, lieto per il nome
ad amare i focolari ed innalzare sopra i tetti la rocca.
E ormai quasi le poppe

erano tirate sul secco lido,
la gioventù intenta a nozze e campi nuovi,
davo leggi e case, quando d’improvviso giunse una

peste, corrottasi
la regione del cielo, funesta e miserevole per i corpi,
gli alberi ed i seminati annata

mortale.
Lasciavano le dolci vite o trascinavano malati
corpi; allora Sirio bruciata gli sterili campi,
le erbe

inaridivano e la messe malata rifiutava il nutrimento.
Di nuovo il padre esorta, ripassato il mare, ad andare
da Apolo e

dall’oracolo di Ortigia ed invocare perdono,
quale fine porti alle deboli sorti, donde ordini di provare
l’aiuto delle

fatiche, dove volger la rotta.

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