Eneide, Libro 3, traduzione vv. 147-191 - Studentville

Eneide, Libro 3, traduzione vv. 147-191

Nox

erat et terris animalia somnus habebat:
effigies sacrae divum Phrygiique penates,
quos mecum a Troia mediisque ex

ignibus urbis
extuleram, visi ante oculos astare iacentis
in somnis multo manifesti lumine, qua se
plena per

insertas fundebat luna fenestras;
tum sic adfari et curas his demere dictis:
‘quod tibi delato Ortygiam dicturus

Apollo est,
hic canit et tua nos en ultro ad limina mittit.
nos te Dardania incensa tuaque arma secuti,
nos tumidum

sub te permensi classibus aequor,
idem venturos tollemus in astra nepotes
imperiumque urbi dabimus. tu moenia magnis

magna para longumque fugae ne linque laborem.
mutandae sedes. non haec tibi litora suasit
Delius aut Cretae iussit

considere Apollo.
est locus, Hesperiam Grai cognomine dicunt,
terra antiqua, potens armis atque ubere glaebae;

Oenotri coluere viri; nunc fama minores
Italiam dixisse ducis de nomine gentem.
hae nobis propriae sedes, hinc

Dardanus ortus
Iasiusque pater, genus a quo principe nostrum.
surge age et haec laetus longaevo dicta parenti
haud

dubitanda refer: Corythum terrasque requirat
Ausonias; Dictaea negat tibi Iuppiter arva.’
talibus attonitus visis et

voce deorum
nec sopor illud erat, sed coram agnoscere vultus
velatasque comas praesentiaque ora videbar;
tum

gelidus toto manabat corpore sudor
corripio e stratis corpus tendoque supinas
ad caelum cum voce manus et munera libo

intemerata focis. perfecto laetus honore
Anchisen facio certum remque ordine pando.
agnovit prolem ambiguam

geminosque parentis,
seque novo veterum deceptum errore locorum.
tum memorat: ‘nate, Iliacis exercite fatis,

sola mihi talis casus Cassandra canebat.
nunc repeto haec generi portendere debita nostro
et saepe Hesperiam, saepe

Itala regna vocare.
sed quis ad Hesperiae venturos litora Teucros
crederet? aut quem tum vates Cassandra moveret?

cedamus Phoebo et moniti meliora sequamur.’
sic ait, et cuncti dicto paremus ovantes.
hanc quoque deserimus

sedem paucisque relictis
vela damus vastumque cava trabe currimus aequor.

Versione tradotta

Era notte e il sonno in terra possedeva i viventi:
le statue sacre degli dei ed i penati frigi, che con me
avevo

tratto da Troia di mezzo alle fiamme,
sembrarono davanti agli occhi giacenti nel sonno
ergersi chiari nella forte luce,

dove la luna piena
si spandeva attraverso le finestre aperte;
allora così parlavano lenivano gli affanni con queste

frasi:
“Quello che apollo sta per dirti, giunto ad Ortigia,
qui predice ed ecco in più invia noi alle tue porte .
Noi

dopo aver seguito te e le tue armi,
noi dopo aver percorso il rigonfio mare con le flotte sotto di te,
proprio noi

innalzeremo alle stelle i nipoti venturi
e daremo il potere alla città. Tu prepara mura grandi
ai grandi e non lasciare

la lunga fatica della fuga.
Le sedi sono da cambiare. Delio non ti consigliò questi
lidi o Apollo comandò di fermarti a

Creta.
C’è un luogo, i Grai lo chiamano col nome di Esperia,
terra antica, potente per armi e ricchezza di terra;
gli

uomini Enotri la abitarono; ora è fama che i discendenti
abbiamo chiamato Italia il popolo dal nome del capo.
Queste per

noi le sedi proprie, di qui è nato Dardano
ed il padre Iasio, da questo principe la nostra stirpe.
Orsù alzati e lieto

riferisci al vecchio padre queste frasi
da non dubitare: e Corito cerchi le terre
Ausonie; Giove ti rifiuta i campi

Dittei.”
Attonito per tali visioni e richiamo degli dei
- né quello era sonno, ma mi sembrava riconoscere
i volti e le

chiome velate ed i volti presenti-
allora un gelido sudore emanava da tutto il corpo
strappo dai letti il corpo e tendo

supine al cielo
le mani con invocazione e libo sui fuochi
dono inviolati. Lieto per l’offerta compiuta
rendo informato

Anchise e per ordine espongo la cosa.
Riconobbe la duplice prole ed i due padri,
e che s’era ingannato per il nuovo

errare dei luoghi.
Allora ricorda: “Figlio, tormentato dai fati iliaci,
la sola Cassandra mi prediceva tali

sorti.
Ora riconosco che prediceva queste cose dovute alla nostra stirpe
spesso nominava l’Italia, spesso i regni

italici.
Ma chi poteva credere che i Teucri sarebbero giunti ai lidi
d’Esperia? o chi la profetessa Cassandra poteva

convincere?
Cediamo a Febo e istruiti seguiamo cose migliori”.
Così dice e tutti festanti obbediamo al

discorso.
Lasciamo anche questa sede e, perduti pochi,
diamo le vele e con il cavo legno corriamo il vasto mare.

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