Eneide, Libro 3, traduzione vv. 192-208 - Studentville

Eneide, Libro 3, traduzione vv. 192-208

Postquam altum tenuere rates nec iam amplius ullae
apparent terrae, caelum undique et undique pontus,
tum

mihi caeruleus supra caput astitit imber
noctem hiememque ferens, et inhorruit unda tenebris.
continuo venti volvunt

mare magnaque surgunt
aequora, dispersi iactamur gurgite vasto;
involvere diem nimbi et nox umida caelum
abstulit,

ingeminant abruptis nubibus ignes,
excutimur cursu et caecis erramus in undis.
ipse diem noctemque negat discernere

caelo
nec meminisse viae media Palinurus in unda.
tris adeo incertos caeca caligine soles
erramus pelago, totidem

sine sidere noctes.
quarto terra die primum se attollere tandem
visa, aperire procul montis ac volvere fumum.
vela

cadunt, remis insurgimus; haud mora, nautae
adnixi torquent spumas et caerula verrunt.

Versione tradotta

Dopo che le barche presero il largo e non appare più
alcuna terra, e cielo ovunque

e ovunque mare,
allora mi sovrastò sul capo una livida pioggia
portando notte e tempesta e l’onda inorridì per le

tenebre.
Subito i venti sconvolgono il mare e grandi ondate
sorgono, dispersi siamo sbattuti nel vasto gorgo;
i nembi

avvolsero il giorno e l’umida notte tolse
il cielo, squarciate le nubi, i fulmini raddoppiano,
siamo deviati dalla rotta

ed erriamo sulle cieche onde.
Lo stesso Palinuro dice di non distinguere giorno e notte
nel cielo e di non ricordare la

via in mezzo all’onda.
Così per tre interi soli nella cieca caligine
erriamo pel mare, altrettante notti senza

stella.
Al terzo giorno finalmente dapprima fu vista ergersi
la terra, lontano aprirsi i monti ed alzarsi il

fumo.
Cadono le vele, ci drizziamo sui remi; non un indugio,
i marinai sforzandosi muovono spume e spazzano le livide

onde.

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