Postquam altum tenuere rates nec iam amplius ullae
apparent terrae, caelum undique et undique pontus,
tum
mihi caeruleus supra caput astitit imber
noctem hiememque ferens, et inhorruit unda tenebris.
continuo venti volvunt
mare magnaque surgunt
aequora, dispersi iactamur gurgite vasto;
involvere diem nimbi et nox umida caelum
abstulit,
ingeminant abruptis nubibus ignes,
excutimur cursu et caecis erramus in undis.
ipse diem noctemque negat discernere
caelo
nec meminisse viae media Palinurus in unda.
tris adeo incertos caeca caligine soles
erramus pelago, totidem
sine sidere noctes.
quarto terra die primum se attollere tandem
visa, aperire procul montis ac volvere fumum.
vela
cadunt, remis insurgimus; haud mora, nautae
adnixi torquent spumas et caerula verrunt.
Versione tradotta
Dopo che le barche presero il largo e non appare più
alcuna terra, e cielo ovunque
e ovunque mare,
allora mi sovrastò sul capo una livida pioggia
portando notte e tempesta e londa inorridì per le
tenebre.
Subito i venti sconvolgono il mare e grandi ondate
sorgono, dispersi siamo sbattuti nel vasto gorgo;
i nembi
avvolsero il giorno e lumida notte tolse
il cielo, squarciate le nubi, i fulmini raddoppiano,
siamo deviati dalla rotta
ed erriamo sulle cieche onde.
Lo stesso Palinuro dice di non distinguere giorno e notte
nel cielo e di non ricordare la
via in mezzo allonda.
Così per tre interi soli nella cieca caligine
erriamo pel mare, altrettante notti senza
stella.
Al terzo giorno finalmente dapprima fu vista ergersi
la terra, lontano aprirsi i monti ed alzarsi il
fumo.
Cadono le vele, ci drizziamo sui remi; non un indugio,
i marinai sforzandosi muovono spume e spazzano le livide
onde.
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