Eneide, Libro 3, traduzione vv. 294-354 - Studentville

Eneide, Libro 3, traduzione vv. 294-354

Hic incredibilis rerum fama occupat auris,
Priamiden Helenum Graias regnare per urbis
coniugio Aeacidae

Pyrrhi sceptrisque potitum,
et patrio Andromachen iterum cessisse marito.
obstipui, miroque incensum pectus amore

compellare virum et casus cognoscere tantos.
progredior portu classis et litora linquens,
sollemnis cum forte dapes

et tristia dona
ante urbem in luco falsi Simoentis ad undam
libabat cineri Andromache manisque vocabat
Hectoreum ad

tumulum, viridi quem caespite inanem
et geminas, causam lacrimis, sacraverat aras.
ut me conspexit venientem et Troia

circum
arma amens vidit, magnis exterrita monstris
deriguit visu in medio, calor ossa reliquit,
labitur, et longo

vix tandem tempore fatur:
‘verane te facies, verus mihi nuntius adfers,
nate dea? vivisne? aut, si lux alma

recessit,
Hector ubi est?’ dixit, lacrimasque effudit et omnem
implevit clamore locum. vix pauca furenti
subicio

et raris turbatus vocibus hisco:
‘vivo equidem vitamque extrema per omnia duco;
ne dubita, nam vera vides.
heu.

quis te casus deiectam coniuge tanto
excipit, aut quae digna satis fortuna revisit,
Hectoris Andromache? Pyrrhin

conubia servas?’
deiecit vultum et demissa voce locuta est:
‘o felix una ante alias Priameia virgo,

hostilem ad tumulum Troiae sub moenibus altis
iussa mori, quae sortitus non pertulit ullos
nec victoris heri

tetigit captiva cubile.
nos patria incensa diversa per aequora vectae
stirpis Achilleae fastus iuvenemque superbum

servitio enixae tulimus; qui deinde secutus
Ledaeam Hermionen Lacedaemoniosque hymenaeos
me famulo famulamque

Heleno transmisit habendam.
ast illum ereptae magno flammatus amore
coniugis et scelerum furiis agitatus Orestes

excipit incautum patriasque obtruncat ad aras.
morte Neoptolemi regnorum reddita cessit
pars Heleno, qui Chaonios

cognomine campos
Chaoniamque omnem Troiano a Chaone dixit,
Pergamaque Iliacamque iugis hanc addidit arcem.
sed tibi

qui cursum venti, quae fata dedere?
aut quisnam ignarum nostris deus appulit oris?
quid puer Ascanius? superatne et

vescitur aura?
quem tibi iam Troia –
ecqua tamen puero est amissae cura

parentis?
ecquid in antiquam virtutem animosque virilis
et pater Aeneas et avunculus excitat Hector?’
talia

fundebat lacrimans longosque ciebat
incassum fletus, cum sese a moenibus heros
Priamides multis Helenus comitantibus

adfert,
agnoscitque suos laetusque ad limina ducit,
et multum lacrimas verba inter singula fundit.
procedo et

parvam Troiam simulataque magnis
Pergama et arentem Xanthi cognomine rivum
agnosco, Scaeaeque amplector limina portae;

nec non et Teucri socia simul urbe fruuntur.
illos porticibus rex accipiebat in amplis:
aulai medio libabant pocula

Bacchi
impositis auro dapibus, paterasque tenebant.

Versione tradotta

Qui un'incredibile fama mi riempie le orecchie,

che il Priamide Eleno regna in città Graie
impadronitosi delle

nozze e degli scettri dell'Eacide Pirro,
e che Andromaca è passata di nuovo ad un marito della patria.
Stupii, il

cuore acceso da singolare amore
di parlare all’uomo e conoscere sì grandi sorti.
Avanzo dal porto lasciando flotte e

lidi,
quando per caso Andromaca libava alle ceneri vivande
e tristi doni davanti alla città in

un bosco alla riva
d’un falso Simoenta ed invocava i Mani
presso il tumulo di Ettore, che vuoto aveva consacrato
con

verde zolla e due altari, motivo per le lacrime.
Come mi osservò arrivare e fuor di sé vide attorno
le armi troiane,

atterrita per le grandi visioni
sbiancò in mezzo al volto, e il calore lasciò le ossa.
Sviene e a stento finalmente dopo

lungo tempo parla:
“Ti presenti a me come vera forma, vero nunzio,
figlio di dea? sei forse vivo? o se la grande luce

fuggì,
Ettore dov’è?” disse e versò lacrime e riempì
tutto il luogo di pianto. A stento rispondo poche parole
a lei

che freme e turbato parlo con poche parole:
“Vivo certamente, ma conduco una vita ai limiti estremi;
non dubitare,

infatti vedi cose vere.
Ahimè, quale sorte ti accoglie, privata di sì grande
marito, o quale fortuna abbastanza degna ti

visitò,
o Andromaca di Ettore? serbi forse le nozze di Pirro?”
Abbassò il volto e a voce bassa parlò:

“O sola fra le altre felice vergine Priamea,
obbligata a morire sotto le alte mura di Troia
presso il tumulo

nemico, che non soffrì nessun sorteggio
né prigioniera toccò il letto del padrone vincitore.
Noi, incendiata la città,

condotte per diversi mari
costrette alla schiavitù sopportammo l’orgoglio
ed il superbo giovane della stirpe achillea; ma

lui poi
seguendo Ermione Ledea e nozze Lacedemonie
lasciò me schiava da possedere allo schiavo Eleno
ma lo coglie,

incauto, Oreste infuriato per il grande amore
della moglie strappata e scosso dalle furie
dei

delitti e lo sgozza presso gli altari paterni.
Per la morte di Neottolemo una parte fatta dei regni
passò ad Eleno, che

chiamò Caonie le piane
e tutta la Caonia dal nome troiano di Caone,
ed aggiunse sulle cime questa Pergamo, rocca

iliaca.
Ma te quale rotta diedero i venti, quali fati?
o quale dio spinse alle nostre spiagge te ignaro?
E il piccolo

Ascanio? vive forse e si pasce dell’aria?
chi ormai da Troia ti -
che amore c’è

nel bambino della madre perduta?
forse che il padre Enea e lo zio Ettore lo spinge
all’antico eroismo ed al coraggio

virile?”
Così prorompeva piangendo ed invano faceva lunghi
lamenti, quando dalle mura l’eroe Priamide

Eleno,
accompagnandolo molti, si presenta,
e riconosce i suoi e lieto li conduce alle porte,
e versa lacrime, molto,

tra le singole parole.
Avanzo e riconosco una piccola Troia e Pergamo
imitante la grande ed un ruscello secco col

nome
di Xanto, ed abbraccio le soglie della porta Scea;
Anche i Teucri insieme godono della città alleata.
Il re li

accoglieva in ampli porticati:
in mezzo alla sala libavano coppe d’oro di Bacco,
apparecchiate vivande e tenevano

tazze.

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