Vix ea fatus erat summo cum monte videmus ipsum inter pecudes vasta se mole moventem pastorem
Polyphemum et litora nota petentem, monstrum horrendum, informe, ingens, cui lumen ademptum. trunca manum pinus regit et
vestigia firmat; lanigerae comitantur oves; ea sola voluptas solamenque mali. postquam altos tetigit fluctus et ad aequora
venit, luminis effossi fluidum lavit inde cruorem dentibus infrendens gemitu, graditurque per aequor iam medium, necdum fluctus
latera ardua tinxit. nos procul inde fugam trepidi celerare recepto supplice sic merito tacitique incidere funem, vertimus et
proni certantibus aequora remis. sensit, et ad sonitum vocis vestigia torsit. verum ubi nulla datur dextra adfectare potestas
nec potis Ionios fluctus aequare sequendo, clamorem immensum tollit, quo pontus et omnes intremuere undae, penitusque exterrita
tellus Italiae curvisque immugiit Aetna cavernis. at genus e silvis Cyclopum et montibus altis excitum ruit ad portus et litora
complent. cernimus astantis nequiquam lumine torvo Aetnaeos fratres caelo capita alta ferentis, concilium horrendum: quales cum
vertice celso aeriae quercus aut coniferae cyparissi constiterunt, silva alta Iovis lucusve Dianae. praecipitis metus acer agit
quocumque rudentis excutere et entis intendere vela secundis. contra iussa monent Heleni, Scyllamque Charybdinque inter,
utrimque viam leti discrimine parvo, ni teneam cursus: certum est dare lintea retro. ecce autem Boreas angusta ab sede Pelori
missus adest: vivo praetervehor ostia saxo Pantagiae Megarosque sinus Thapsumque iacentem. talia monstrabat relegens errata
retrorsus litora Achaemenides, comes infelicis Ulixi.
Versione Tradotta
Appena aveva così parlato che sulla sommità del montevediamo muoversi lo stesso Polifemo con la vasta molepastore tra le
pecore e dirigersi tra i lidi conosciuti.Mostro orrendo, informe, enorme, cui era tolto l’occhio. Un pino troncato guida la
mano assicura le orme;l’accompagnano pecore lanose; quella la sola passionee consolazione del male.Dopo che toccò i flutti
profondi e giunse alle acque, allora lavò il fluido sangue dell’occhio cavato.Fremendo coi denti per il gemito
ed avanza poi in mezzo all’acqua e neppure il flutto bagnò gli alti fianchi.Noi trepidanti ci decidiamo ad accelerare la fuga
di lì,raccolto il supplice così benemerito e tagliare taciti la fune,e chini sui remi vincenti le acque.Sentì ed
al suon della voce volse le orme.Ma poichè non è data alcuna possibilità d’afferraci con la destranè è capace inseguendo di
eguagliare i flutti ioniialza un urlo immenso, per cui il mare e tuttele onde tremarono, profondamente atterrita è la terrad
Italia e l’Etna nelle tortuose caverne mugghiò.Ma il popolo dei Ciclopi chiamato dai boschi e dagli alti monti corre ai
porti e riempie le spiagge.Vediamo i fratelli etnei ergersi con l’occhio invano torvo che portavan le alte
teste al cielo,orrenda adunata: come quando coll’eccelsa cimale aeree querce o i coniferi cipressi si alzarono,alta selva di
Giove o bosco di Diana.Un’intensa paura ci muove rapidi ovunque a svolgerle funi e tendere le vele ai venti favorevoli.Ma gli
ordini di Eleno avvertono e tra Scilla e Cariddi,doppiamente via in un piccolo intervallo di morte,se non tengo la rotta: è
sicuro dar le vele all’indietro.Ma ecco Borea inviato dal piccolo stretto di Pelorosi presenta: oltrepasso le porte di viva
rocciadi Pantagia, il golfo di Megara e Tapso distesa.Achemenide, compagno di Ulisse infelice, mostravatali spiagge percorse
riandandole a ritroso.
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