Eneide, Libro 3, traduzione vv. 69-120 - Studentville

Eneide, Libro 3, traduzione vv. 69-120

Inde ubi prima fides pelago, placataque venti
dant maria et lenis crepitans

vocat Auster in altum,
deducunt socii navis et litora complent;
provehimur portu terraeque urbesque recedunt.
sacra

mari colitur medio gratissima tellus
Nereidum matri et Neptuno Aegaeo,
quam pius arquitenens oras et litora circum

errantem Mycono e celsa Gyaroque revinxit,
immotamque coli dedit et contemnere ventos.
huc feror, haec fessos tuto

placidissima portu
accipit; egressi veneramur Apollinis urbem.
rex Anius, rex idem hominum Phoebique sacerdos,
vittis

et sacra redimitus tempora lauro
occurrit; veterem Anchisen agnovit amicum.
iungimus hospitio dextras et tecta subimus.

Templa dei saxo venerabar structa vetusto:
‘da propriam, Thymbraee, domum; da moenia fessis
et genus et mansuram

urbem; serva altera Troiae
Pergama, reliquias Danaum atque immitis Achilli.
quem sequimur? quove ire iubes? ubi ponere

sedes?
da, pater, augurium atque animis inlabere nostris.’
vix ea fatus eram: tremere omnia visa repente,
liminaque

laurusque dei, totusque moveri
mons circum et mugire adytis cortina reclusis.
summissi petimus terram et vox fertur ad

auris:
‘Dardanidae duri, quae vos a stirpe parentum
prima tulit tellus, eadem vos ubere laeto
accipiet reduces.

antiquam exquirite matrem.
hic domus Aeneae cunctis dominabitur oris
et nati natorum et qui nascentur ab illis.’

haec Phoebus; mixtoque ingens exorta tumultu
laetitia, et cuncti quae sint ea moenia quaerunt,
quo Phoebus vocet

errantis iubeatque reverti.
tum genitor veterum volvens monimenta virorum
‘audite, o proceres,’ ait ‘et spes

discite vestras.
Creta Iovis magni medio iacet insula ponto,
mons Idaeus ubi et gentis cunabula nostrae.
centum

urbes habitant magnas, uberrima regna,
maximus unde pater, si rite audita recordor,
Teucrus Rhoeteas primum est

advectus in oras,
optavitque locum regno. nondum Ilium et arces
Pergameae steterant; habitabant vallibus imis.
hinc

mater cultrix Cybeli Corybantiaque aera
Idaeumque nemus, hinc fida silentia sacris,
et iuncti currum dominae subiere

leones.
ergo agite et divum ducunt qua iussa sequamur:
placemus ventos et Cnosia regna petamus.
nec longo distant

cursu: modo Iuppiter adsit,
tertia lux classem Cretaeis sistet in oris.’
sic fatus meritos aris mactavit honores,

taurum Neptuno, taurum tibi, pulcher Apollo,
nigram Hiemi pecudem, Zephyris felicibus albam.

Versione tradotta

Poi quando c’è la prima

fiducia nel mare ed i venti
rendono le acque placate ed il leggero Austro crepitando
invita al largo, i compagni traggono

le navi e riempiono le spiagge;
vi allontaniamo dal porto e terre e città si ritirano.
In mezzo al mare è abitata una

terra sacra molto gradita
alla madre delle Nereidi ed a Nettuno Egeo,
che il pio arcotenente legò a Micono, poiché

errava
attorno a lidi e spiagge dall’alta Giaro,
concesse che immobile fosse coltivata e disprezzasse i venti.
Qui

sono portato, questa placidissima ci accolse stanchi
nel porto sicuro; usciti veneriamo la città di Apollo.
Il re Anio,

lo stesso re di persone e sacerdote di Febo,
coronato le sacre tempia di bende e d’alloro
accorre; riconobbe il vecchio

amico Anchise.
Giungiamo le destre per l’ospitalità ed entriamo nelle case.
Veneravo i templi del dio costruiti su antica

roccia:
“Dà una casa propria, Timbreo; agli stanchi dà le mura
e una stirpe e una città duratura; serba la seconda

Pergamo
di Troia, i resti dei Danai e del crudele Achille.
Chi seguiamo? o dove comandi d’andare? dove porre le sedi?

Dà, padre, un presagio e penetra nei nostri cuori.”
Avevo appena detto così: si vide tutto tremare,
le soglie e l’

alloro del dio, muoversi tutto attorno
il monte e mugghiare il tripode, squarciati i penetrali.
Inchinati ci volgiamo a

terra ed una voce si sente alle orecchie:
“Dardandi duri, la terra che per prima vi creò dalla stirpe
dei padri, la

stessa vi accoglierà reduci
nel fertile seno. Ricercate l’antica madre.
Qui la casa d’Enea dominerà tutte le

spiagge
ed i figli dei figli e chi nascerà da essi.”
Così Febo; nacque una enorme gioia con unito
tumulto, e tutti

chiedon quali sian quelle mura,
dove Febo chiami gli erranti ed ordini che tornino.
Allora il padre meditando i ricordi

degli uomini antichi
“Udite, o capi, dice, ed imparate le vostre speranze.
Creta, isola del grande Giove, giace in mezzo

al mare,
dove è il monte ideo e culla del nostro popolo.
Abitano cento grandi città, regni ricchissimi,
Donde il

massimo padre, Teucro, se ricordo bene le storie,
fu prima condotto nelle spiagge rete,
e vi volle la sede per il regno.

Non erano ancora fondate Ilio
e le rocche pergamene; abitavano in fondo alle valli.
Di qui la madre abitatrice di Cibelo

ed i bronzi Coribantici
ed il bosco ideo, di qui i fidati silenzi per i riti,
ed i leoni aggiogati si sottoposero al

cocchio della padrona.
Perciò coraggio, dove gli ordini degli dei guidano, seguiamo:
plachiamo i venti e cerchiamo i

regni Cnosii.
Non distano lungo spazio: solo Giove ci assista,
la terza luce porterà la flotta sulle spiagge cretese.”

Detto così, immolò sugli altari giuste vittime,
un toro a Nettuno, un toro a te, splendido Apollo,
nero animale a

Tempesta, agli Zefiri propizi uno bianco.

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