Eneide, Libro 3, traduzione vv. 692-718 - Studentville

Eneide, Libro 3, traduzione vv. 692-718

Sicanio

praetenta sinu iacet insula contra
Plemyrium undosum; nomen dixere priores
Ortygiam. Alpheum fama est huc Elidis

amnem
occultas egisse vias subter mare, qui nunc
ore, Arethusa, tuo Siculis confunditur undis.
iussi numina magna

loci veneramur, et inde
exsupero praepingue solum stagnantis Helori.
hinc altas cautes proiectaque saxa Pachyni

radimus, et fatis numquam concessa moveri
apparet Camerina procul campique Geloi,
immanisque Gela fluvii cognomine

dicta.
arduus inde Acragas ostentat maxima longe
moenia, magnanimum quondam generator equorum;
teque datis linquo

ventis, palmosa Selinus,
et vada dura lego saxis Lilybeia caecis.
hinc Drepani me portus et inlaetabilis ora

accipit. hic pelagi tot tempestatibus actus
heu, genitorem, omnis curae casusque levamen,
amitto Anchisen. hic me,

pater optime, fessum
deseris, heu, tantis nequiquam erepte periclis.
nec vates Helenus, cum multa horrenda moneret,

hos mihi praedixit luctus, non dira Celaeno.
hic labor extremus, longarum haec meta viarum,
hinc me digressum

vestris deus appulit oris.
Sic pater Aeneas intentis omnibus unus
fata renarrabat divum cursusque docebat.

conticuit tandem factoque hic fine quievit.

Versione tradotta

Di fronte al golfo Sicanio giace, stesa davanti, un’isola contro
l’ondoso Plemurio; gli antichi diedero il

nome
di Ortigia. E’ fama che Alfeo, fiume dell’Elide,
avesse qui rese occulte le vie sotto il mare, egli ora,
Aretusa,

sulla tua bocca si unisce alle onde sicule.
Obligati veneriamo le grandi potenze del luogo e di lì
supero il ricchissimo

suolo dell’Eloro stagnante.
Di qui rasentiamo le alte rocce e le protese rupi
di Pachino e da lontano appare Camerina

mai
autorizzata dai fati a muoversi, ed i campi Geloi,
e la grandiosa Gela chiamata dal nome del fiume.
Di lì alta

Agrigento mostra da lontano le grandissime
mura, un tempo fattrice di magnanimi cavalli;
e, dati i venti, lascio te,

palmosa Selinunte,
e percorro le secche Lilibee aspre per le cieche rocce.
Di qui mi accoglie il porto e la spiaggia che

non dà gioia
di Drepano. Qui spinto da tante bufere di mare,
ahimè, perdo il padre, sollievo di ogni affanno e

sorte,
Anchise. Qui, padre ottimo, mi abbandoni stanco, ahimè
invano strappato da sì gravi pericoli.
Né il vate Eleno,

pur predicendo molte cose orrende,
mi predisse questi lutti, nemmeno la crudele Celeno.
Qui l’ultima affanno, questa la

meta delle lunghe vie,
di qui partito un dio mi spinse alle vostre spiagge.
Così il padre Enea solo raccontava, tutti

attenti,
i fati degli dei e rivelava le rotte.
Tacque infine e qui si fermò col racconto e la fine.

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