Libro 4 - Favola 16 - Studentville

Libro 4 - Favola 16

Humanitati qui se non accommodat plerumque poenas

oppetit superbiae. Cicada acerbum noctuae convicium faciebat, solitae victum in tenebris quaerere cavoque ramo capere somnum

interdiu. Rogata est ut taceret. Multo validius clamare occepit. Rursus admota prece accensa magis est. Noctua, ut vidit sibi

nullum esse auxilium et verba contemni sua, hac est adgressa garrulam fallacia: “Dormire quia me non sinunt cantus tui, sonare

citharam quos putes Apollinis,

Versione tradotta

Chi non si adatta alla cortesia per lo più paga il fio

della superbia.
La cicala faceva un duro insulto alla civetta, solita cercare il vitto nelle tenebre e di giorno prendere

sonno nel ramo cavo. Fu pregata di tacere. Molto più forte riprese a gridare. Di nuovo, presentata la preghiera,
si riaccese

di più. La civetta, come vide che non aveva nessun aiuto e le sue parole erano disprezzate, affrontò la chiacchierona con

questo inganno: ”Poiché i tuoi canti non mi lasciano dormire, ho voglia che suonino la cetra quelli che diresti di Apollo; bere

il nettare, che poco fa mi diede Pallade; se non ti dispiace, vieni; beviamo insieme.” Ella, che bruciava di sete, insieme

godeva che si lodasse la sua voce, vogliosamente volò. La civetta, chiusa la cavità, inseguì la trepidante e la colpì con la

morte. Così, quel che aveva rifiutato da viva, lo concesse da morta.

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