Tu qui nasute scripta destringis mea, et hoc iocurum legere fastidis genus,
parva libellum sustine patientia, severitatem frontis dum placo tuae et in coturnis prodit Aesopus novis: “Utinam nec umquam
Pelii in nemoris iugo pinus bipenni concidisset Thessala, nec ad professae mortis audacem viam fabricasset Argus opere Palladio
ratem, inhospitalis prima quae Ponti sinus patefecit in perniciem Graium et Barbarum. Namque et superbi luget Aeetae domus, et
regna Peliae scelere Medeae iacent, quae, saevum ingenium variis involvens modis, illinc per artus fratris explicuit fugam, hic
caede patris Peliadum infecit manus.” Quid tibi videtur? “Hoc quoque insulsum est”, ait “falsoque dictum, longe quia vetustior
Aegea Minos classe predomuit freta, iustique vindicavit exemplum imperi.” Quid ergo possum facere tibi, lector Cato, si nec
fabellae et iuvant nec fabulae? Noli molestus esse ominino litteris, maiorem exhibeant ne tibi molestiam. Hoc illis dictum qui
stultitia nausiant et, ut putentur sapere, caelum vituperant.
Versione tradotta
Tu che, o nasuto, distruggi i miei
scritti, e ti infastidisci a leggere questo genere di scherzi, sopporta il libretto con poca pazienza, mentre placo la serietà
della tua fronte ed Esopo esce con coturni nuovi: Oh se mai sul giogo del bosco Pelio il pino tessalo non fosse mai caduto per
la dipenne, né Argo avesse fabbricato la zattera per opera di Pallade per laudace via della morte dichiarata, che per prima
aprì i golfi del Ponto inospitale a danno dei Grai e dei barbari. Infatti la casa del superbo Eeta piange ed i regni di Pelia
giacciono per il delitto di Medea, che, movendo il crudele ingegno in vari modi, di lì attraverso le membra del fratello spiegò
la fuga, qui insudiciò le mani dei Pleiadi con la strage del padre. Che ti pare? Anche questo è insulso, dice, e detto
falsamente, poiché il molto più antico Minasse con flotta Egea domò i flutti, e vendicò lesempio del giusto impero. Che
dunque posso fare per te, lettore Catone, se né le favole né le favolette ti piacciono? Non essere totalmente avverso alle
lettere, che non ti diano maggiore avversione. Questo (fu) detto per quelli che per stoltezza si disgustano e, perché siano
giudicati aver gusto, biasimano il cielo.
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