Hos secuti M. Genucius et C. Curtius consules. Fuit annus domi forisque infestus. Nam principio et de
conubio patrum et plebis C. Canuleius tribunus plebis rogationem promulgavit, qua contaminari sanguinem suum patres confundique
iura gentium rebantur, et mentio primo sensim inlata a tribunis ut alterum ex plebe consulem liceret fieri, eo processit deinde
ut rogationem novem tribuni promulgarent, ut populo potestas esset, seu de plebe seu de patribus vellet, consules faciendi. Id
vero si fieret, non volgari modo cum infimis, sed prorsus auferri a primoribus ad plebem summum imperium credebant. Laeti ergo
audiere patres Ardeatium populum ob iniuriam agri abiudicati descisse, et Veientes depopulatos extrema agri Romani, et Volscos
Aequosque ob communitam verruginem fremere; adeo vel infelix bellum ignominiosae paci praeferebant. His itaque in maius etiam
acceptis, ut inter strepitum tot bellorum conticescerent actiones tribuniciae, dilectus haberi, bellum armaque vi summa
apparari iubent, si quo intentius possit quam T. Quinctio consule apparatum sit. Tum C. Canuleius, pauca in senatu vociferatus,
nequiquam territando consules auertere plebem a cura novarum legum, nunquam eos se vivo dilectum habituros, antequam ea quae
promulgata ab se collegisque essent plebes sciuisset, confestim ad contionem advocavit.
Versione tradotta
A questi uomini successero i consoli Marco Genucio e Gaio Curzio. Fu un anno difficile, sia in patria sia
fuori. Infatti, all'inizio dell'anno, il tribuno della plebe Gaio Canuleio presentò una proposta di legge sul matrimonio
tra patrizi e plebei, con la quale i patrizi pensavano si contaminasse il loro sangue e si sovvertissero i diritti gentilizi.
Inoltre, fu suggerita - prima molto cautamente da parte dei tribuni - un'altra proposta in base alla quale sarebbe stato
lecito che uno dei consoli fosse di estrazione plebea. Ma la cosa prese in séguito una tale consistenza da spingere ben nove
tribuni a presentare una proposta di legge che garantiva al popolo la facoltà di nominare i consoli scegliendoli sia fra la
plebe, sia tra i patrizi. E questi ultimi credevano che, se ciò fosse accaduto, non solo alla più alta carica avrebbero avuto
accesso i più infimi, ma essa sarebbe stata del tutto tolta agli aristocratici per affidarla ai plebei. Perciò fu per i patrizi
un grande sollievo sentire che il popolo di Ardea si era ribellato per l'infamia con la quale gli era stata portata via la
terra, che i Veienti avevano messo a ferro e fuoco le campagne alla frontiera romana e che Volsci ed Equi stavano fremendo per
la fortezza di Verrugine: i patrizi preferivano una guerra dall'esito magari funesto a una pace vergognosa. Perciò,
esagerando ancor più queste notizie - per far cessare, nell'agitazione di tante guerre, le iniziative dei tribuni -,
ordinano di organizzare le leve e di preparare la guerra e le armi, con il massimo impegno e, se possibile, con ancor maggiore
sollecitudine di quella con cui erano state preparate sotto il console Tito Quinzio. Allora Gaio Canuleio, in poche frasi, dice
ai senatori che i consoli, continuando a spaventare senza motivo, non sarebbero riusciti, né a distogliere la plebe dal
pensiero delle nuove leggi, né a realizzare, finché lui era vivo, la leva militare, almeno non prima che la plebe avesse
espresso il proprio voto sulle proposte di legge presentate da lui e dai suoi colleghi. Detto questo, convocò súbito
l'assemblea.
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