Publice maximam putant esse laudem quam latissime a suis finibus vacare agros. Hac re significari magnum numerum civitatum suam vim sustinere non potuisse. Itaque una ex parte ab Suebis circiter milia passuum sescenta agri vacare dicuntur. Ad alteram partem succedunt Ubii, quorum fuit civitas ampla atque florens, ut est captus Germanorum. Et paulo quam eiusdem generis ceteri sunt humaniores, propterea quod Rhenum attingunt multumque ad eos mercatores ventitant et quod ipsi propter propinquitatem Gallicis sunt moribus adsuefacti. Hos cum Suebi multis saepe bellis experti propter amplitudinem gravitatemque civitatis finibus expellere non potuissent, tamen vectigales sibi fecerunt ac multo humiliores infirmioresque redegerunt.
Versione tradotta
Per lo stato ritengono sia grande prestigio che i campi siano liberi per gran tratto rispetto ai loro confini. Con questa cosa si dimostra che un gran numero di nazioni non hanno potuto sostenere la loro potenza. Così si dice che dalla parte dei Suebi i campi sono liberi per circa seicento mila passi.
Presso l’altra parte si trovano gli Ubi, la cui nazione fu ricca e fiorente, come è la capacità dei Germani. Gli altri sono anche un po’ più civili (di quelli) della stessa razza, per il fatto che raggiungono il Reno e presso di loro vanno spesso i mercanti e perché essi per la vicinanza sono abituati ai costumi dei Galli. Costoro, poiché i Suebi avendo tentato spesso con molte guerre ad espellerli dai territori a causa della grandezza ed importanza, tuttavia se li fecero tributari e li resero molto più sottomessi e più deboli.
- Letteratura Latina
- Libro 4
- Cesare
- De Bello Gallico